Scende leggermente il numero di alunni che lasciano la scuola prima del tempo e senza acquisire un titolo di studio: secondo uno studio della Fondazione per la Sussidiarietà, la percentuale è calata dal 14% al 13,5%. Considerando che nel 2011 sfiorava il 19% sembrerebbe un ottimo risultato. Ma non è così. Prima di tutto perché nell’Unione europea la media è del 10%. Inoltre, quando si parla di dispersione scolastica vi sono delle forti differenze all’interno della Penisola: nelle province e al Sud i numeri sono molto alti, mentre da Roma in su e nei grandi centri le percentuali sono in linea se non al di sotto dell’Europa. Inoltre, per chi lascia la scuola troppo presto le conseguenze sono davvero negative, soprattutto se si tratta di donne.
Lo studio, accompagnato del libro “Viaggio nelle character skills”, rivela che due terzi di coloro che non hanno completato gli studi (64%) non trovano un lavoro. Ma fra le ragazze solo una su quattro è riuscita a trovare un’occupazione.
Gli abbandoni sono più frequenti fra i ragazzi (15,4%) che fra le ragazze (11,3%).
A livello territoriale, il minimo di abbandoni dei banchi si tocca nel Nord Est con il 9,6%, mentre il picco si registra nel Sud con il 16,7%.
Lasciano la scuola soprattutto gli studenti delle zone rurali (14,6%), rispetto a città e sobborghi (12,9%).
Mentre in Europa accade il contrario: gli alunni che non completano gli studi nelle città sono l’11,2% rispetto al 10,7% delle campagne.
A pesare sulla percentuale di alunni italiani che lasciano presto è anche la mancata integrazione degli allievi nati all’estero, fra i quali circa un terzo (32%) non completa gli studi, rispetto al 22% nell’Unione Europea.
Ma c’è anche chi sta peggio dell’Italia: in Spagna abbandona la scuola il 17,3% degli allievi. Seguono Malta (16%), Romania (15,3%), Bulgaria (13,9%) e Italia (13,5%).
I Paesi con la minore incidenza nel mancato completamento degli studi sono Croazia (3,0%), Lituania (4,0%) e Grecia (4,1%).
La Fondazione per la Sussidiarietà è andata anche a studiare il fenomeno degli alunni ripetenti: in Italia riguarda il 14,3% degli alunni, mentre tra gli stranieri si arriva al 27,3%.
Per quanto riguarda le competenze, tra gli alunni di 15 anni si palesano grosse lacune sulle capacità classiche: il 23% degli studenti ha una preparazione insufficiente nella lettura, contro il 22% della media europea.
Le insufficienze in matematica riguardano il 24% degli italiani rispetto al 23% comunitario.
Nelle scienze il gap aumenta: risultano impreparati il 26% degli alunni, contro il 22% di quelli dell’Ue.
Secondo Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione, “nell’era del digitale e dell’insegnamento multimediale emerge il ruolo chiave delle relazioni e delle emozioni nell’apprendimento”.
“La ricerca – ha aggiunto Vittadini – conferma che attitudini e personalità influiscono sul rendimento scolastico, ma anche che le capacità non cognitive possono essere stimolate e coltivate. La qualità dell’istruzione scolastica è la via maestra per ridurre le disuguaglianze e favorire l’inclusione sociale”.
E quando si parla di scuola di qualità il pensiero non può non andare alle classi pollaio, che continuano ad essere più che vive, considerando anche che i “tetti” sul numero di alunni per classe rimangono quelli della riforma Tremonti-Gelmini.
Per il presidente, la conclusione è soprattutto una: “bisogna ripensare il modo di insegnare, con lo sviluppo delle capacità non cognitive, come apertura mentale, attitudine a collaborare e spirito di iniziativa“: sono “fattori centrali nel lavoro e nella vita sociale”, conclude Vittadini.
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