Continua a crescere nelle nostre classi il numero degli alunni stranieri. Secondo i dati del Ministero della Pubblica Istruzione nel 1997/98 sono stati 63.199 gli studenti con cittadinanza non italiana presenti in istituti sparsi su tutto il territorio nazionale e prevalentemente al Nord, dove si toccano punte di particolare rilievo in Lombardia.
Le loro famiglie provengono generalmente dall’Africa e, in primo luogo dal Marocco, dall’Albania, dai Paesi della ex Jugoslavia e dalla Cina. Tutti i genitori si pongono però l’obiettivo di rivendicare il rispetto della cultura e delle tradizioni dei Paesi di origine.
In prima linea ci sono i Mussulmani che, seppure con toni e modalità differenti a seconda delle varie associazioni cui appartengono, avanzano precise richieste. Tra l’altro, perché non siano discriminati, chiedono che nelle scuole i loro figli possano studiare il Corano, parlare ed approfondire l’arabo, fermarsi alle mense senza correre il rischio di dover mangiare carne di porco, partecipare alle lezioni di Educazione fisica in squadre suddivise per sessi e, per le ragazze, l’uso del chador. Se per questi due ultimi punti non sembrano sussistere particolari difficoltà (nel nostro Paese nella disposizione legislativa vieta, come ad esempio succede in Francia, il velo e l’Educazione fisica è già impartita divisa tra maschi e femmine nelle secondarie superiori) per le altre istanze il cammino è meno lineare. Le rivendicazioni aprono comunque un ventaglio di problematiche, che vanno ad esempio dalla gestione delle mense all’organizzazione dei tempi scolastici che dovrebbero contemplare per i bimbi mussulmani il diritto di poter pregare 15 minuti al giorno o di avere nelle giornate festive islamiche assenze giustificate. Al di là delle considerazioni e delle intese che possono essere raggiunte, resta però chiaro che la scuola deve, in questo momento, aumentare il suo impegno nel veicolare l’educazione e la cultura dell’integrazione.
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