Lo abbiamo detto tante volte: l’utilizzo quasi maniacale del telefono cellulare sta incrementando i momenti di tensione in tutti quei luoghi, come la scuola, dove la sua fruizione è limitata, se non proibita. Accade, infatti, che spesso gli studenti non rispettano i regolamenti. E i docenti si fanno sentire. Suscitando, non di rado, i risentimenti degli alunni, abituati ad utilizzare lo Smartphone come se fosse, per dirla alla Marshall McLuhan, “un prolungamento dei loro arti”.
L’ultimo episodio di questo genere si è verificato in una scuola media del centro di Sondrio, la ‘Ligari, dove uno studente che usava in classe il proprio cellulare senza seguire la lezione è stato redarguito dell’insegnante.
Il giovane non l’ha presa bene e ha lanciato un oggetto contundente contro la prof, colpendola. L’insegnante ha dovuto fare ricorso alle cure mediche in Pronto soccorso. Pur essendo stata informata la questura, però, la prof ha preferito non sporgere denuncia, perché – ha detto – “non sarebbe questo il modo migliore per punire il minorenne responsabile”.
Anche la dirigente scolastica ha minimizzato, sostenendo che l’utilizzo di telefonini e Smartphone non è consentito durante le lezioni e non ha voluto entrare nei particolari della vicenda per non rendere identificabile il responsabile del gesto.
Ora, non ce la sentiamo di prendercela con le posizioni prese dalla docente e la preside: comprendiamo che denunciare un ragazzo può segnarne negativamente il recupero. Ancora di più se si tratta di un giovane con problemi di apprendimento o con disturbi oppure con bisogni educativi speciali.
Questo, tuttavia, non significa che lo studente debba rimanere impunito. Da sempre a scuola si va, per definizione, per scrivere, far di conto e comportarsi bene.
Pensare di chiudere un occhio o, peggio ancora, giustificare certi comportamenti sopra le righe sarebbe la fine: soprassedere alle violenze contri gli insegnanti, significherebbe sottoscrivere un lasciapassare all’anarchia scolastica.
Un ambiente di formazione prevede che si esprimano delle valutazioni, ma anche che scattino delle punizioni, qualora i “discenti” assumano comportamenti sbagliati. I primi a saperlo sono gli alunni: del resto, quando si comportano male sanno quello che gli aspetta.
E non si venga a parlare di casi isolati: prima di Sondrio, era accaduto in provincia di Caserta, con la prof sfregiata in volto da un suo studente pronta fare autocritica, nel piacentino, con l’insegnante malcapitata finita all’ospedale per essere stata colpita al braccio da un suo allievo. E poche ore fa nella Valle del Savio, in Emilia Romagna, dove un alunno ha sferrato un pugno in faccia al suo insegnante.
Per recuperare i giovani che si sono resi protagonisti di reazioni violente, occorre ripartire con un’analisi degli errori commessi. Solo analizzandoli assieme, magari con l’ausilio di esperti psicologici e soprattutto coinvolgendo la famiglia (recuperando il rapporto laddove possibile), si potrà sperare che questi gesti istintivi si possano ridurre. E che si torni a rispettare i ruoli. Altrimenti, senza conferire l’adeguata autorevolezza agli insegnanti, la scuola avrà fallito la sua mission.
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