I lettori ci scrivono

Alzarsi in piedi all’ingresso in aula del docente: una questione sociale

L’assessore all’Istruzione della Campania ha recentemente caldeggiato il recupero dell’uso di alzarsi in piedi all’ingresso in aula del professore.

Da insegnante nelle scuole superiori da poco in pensione, devo dire che l’argomento non mi ha mai coinvolto troppo. Ho sempre pensato che il cuore dell’istituzione scuola non consista in riti ed usanze, ma nella lezione cattedratica (il che non vuol dire necessariamente dietro la cattedra), quella che taluni pedagogisti disprezzano in nome di sperimentazioni di dubbia efficacia. Può sembrare un discorso sessantottardo ed invece è tutt’altro, in quanto gentiliano. È stato il filosofo nonché ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, infatti, a teorizzare questa semplice ma inattuale verità parlando del momento della lezione come dello Spirito che “si parla” e “si ascolta”, suggestivo concetto che – al netto dei suoi presupposti idealistici –  rende assai bene quella sensazione di calore e di condivisione che l’insegnante percepisce quando la sua lezione è avvincente e partecipata.

Naturalmente ciò non significa che il “contorno”, cioè anche i rituali come per l’appunto l’alzarsi in piedi, non abbiano importanza. Ma qui sorge il dilemma: viene prima l’insegnante o l’alzarsi al suo ingresso? Mi spiego meglio. Alzarsi in piedi significa manifestare del rispetto nei confronti di un soggetto X, per esempio il giudice quando fa ingresso nell’aula delle udienze. Ma il soggetto-insegnante gode a sua volta di un riconoscimento sociale tale da meritarlo in modo indiscusso? In parole ancora più semplici, come vede lo studente il suo prof? E come lo vedono i genitori, i cittadini in genere? Come un fallito o come una persona che la cultura e la delicatezza della professione insigniscono di dignità?

Perché se è vero il primo caso, ovvero che egli viene visto da studenti e genitori come un poveraccio che non ha trovato di meglio per sbarcare il lunario, allora l’alzarsi in piedi, se pure effettuato, sarà percepito come un gesto anacronistico, vuoto di senso, forzato e mal digerito. Qualora, invece, il docente fosse dotato di una sua dignità professionale e quindi sociale, l’alzarsi sarebbe visto come il conseguente e meritato riflesso di tale condizione.

Insomma: prima mi rispetti e poi ti alzi in piedi, non viceversa. Lascio al Lettore di valutare se – a giudicare dalle notizie di cronaca, spesso di cronaca nera, gli insegnanti italiani godano di un rispetto tale da considerare meritato questo mite ossequio, non a caso oggi quasi scomparso.

Alfonso Indelicato

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