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Alzheimer, chi non studia ha più possibilità di ammalarsi: tra i fattori di rischio anche i contatti sociali poco frequenti

Una vita sana, contrassegnata da una dieta equilibrata e dall’attività sportiva, sul lungo periodo paga sicuramente in termini di salute. Ma non basta: occorre anche fornirsi di un’istruzione medio alta. L’indicazione preventiva arriva dalla Federazione Alzheimer Italia e di Alzheimer’s Disease International, per la quale il 40% dei casi di demenza previsti nel mondo fino al 2050 potrebbe essere ritardato o evitato intervenendo sui principali fattori di rischio. Per raggiungere il risultato è indispensabile che i governi si impegnino maggiormente nel finanziare la ricerca sui principali fattori di rischio per la demenza e le strategie di contrasto alla loro diffusione. E tra i fattori che incidono negativamente figura anche il basso livello di conoscenze e competenze.

Un ampio studio attendibile prodotto dalla ‘Lancet Commission on dementia prevention, intervention, and care’ ha rilevato che i principali fattori di rischio per la demenza sono l’inattività fisica, il fumo, il consumo di alcol, le lesioni alla testa, i contatti sociali poco frequenti, l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la depressione, i disturbi dell’udito, ma anche l’inquinamento e gli scarsi livelli di istruzione.

Se si curassero maggiormente questi aspetti, è stato calcolato che entro il 2050 solo in Italia potrebbero vivere 2,3 milioni di persone affette da demenze come la malattia di Alzheimer, circa 800 mila in più rispetto a oggi.

“Investire nella riduzione del rischio è un punto chiave, in assenza di un trattamento o di una cura, per prevenire il maggior numero possibile di casi di demenza”, ha spiegato Paola Barbarino, Ceo di Alzheimer’s Disease International.

Essere abituati ad apprendere significa, ha sottolineato, “garantire che i cittadini in tutto il mondo siano consapevoli di quali sono le strategie attuabili, a tutte le età, e abbiano accesso alle informazioni, ai consigli e ai servizi di supporto necessari”.

“L’Italia, aderendo nel 2017 al Piano di azione globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla risposta di salute pubblica alla demenza, si è impegnata a dare priorità alla riduzione del rischio”, ha ricordato la presidente della Federazione Alzheimer Italia Katia Pinto.

Il rischio, se non si interviene a livello politico, è che la situazione nel futuro possa anche peggiorare, perché il “Piano Nazionale Demenze potrebbe a breve rimanere di nuovo senza fondi: lo stanziamento economico previsto con la legge di Bilancio del 2021 si esaurirà infatti nei prossimi mesi. Per questo chiediamo con forza al Governo di garantire nuovi fondi al Piano”, ha concluso Pinto.

Per quel che riguarda la cura dalla malattia, è stato ricordato che negli ultimi 24 mesi si sono resi disponibili i primi medicinali diretti contro le placche amiloidi, ritenute responsabili del declino cognitivo. In Usa due prodotti sono stati già approvati e una terza approvazione è attesa per la fine dell’anno. A breve potrebbero essere disponibili anche in Europa. Questi farmaci non curano la malattia, ma, rallentandone la progressione, potrebbero cambiare la vita di molti malati di Alzheimer.

Alessandro Giuliani

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