Attualità

Ambientalisti uccisi a centinaia. Chi studia e diffonde la verità rischia la vita

Ben 1910 ambientalisti uccisi dal 2012 al 2022: in media 191 l’anno, uno ogni due giorni. Lo ha rivelato uno studio di Global Witness, organizzazione non governativa internazionale con sede a Washington e Londra. Fondata nel 1993, Global Witness si batte — mediante giornalismo d’inchiesta e iniziative giuridiche — per i diritti umani e per la lotta alla corruzione, alla miseria, alle guerre e allo sfruttamento delle risorse naturali. Si è distinta, tra l’altro, nelle campagne per la trasparenza delle industrie estrattive, contribuendo al varo dell’EITI (Extractive Industries Transparency Initiative), standard globale internazionale per la governance dei combustibili fossili.

Gli studenti più validi devono saperlo: toccare certi interessi è rischioso

Ma perché tanti attivisti uccisi nella difesa degli ecosistemi? Semplice: danno fastidio. Disturbano gli affari di chi costruisce infrastrutture e strade, delle aziende che realizzano centrali idroelettriche, dei trafficanti di legname, delle imprese minerarie, delle attività economiche connesse all’agricoltura. Molti nemici, molte probabilità di finire ammazzati: soprattutto nel quadro attuale della crisi climatica, che spinge il business mondiale ad accelerare lo sfruttamento del pianeta per prevenire le prevedibili leggi, che prima o poi dovranno necessariamente esser promulgate per scongiurare la catastrofe generalizzata.

I valori imparati a Scuola e i disvalori imperanti

Accelera il settore petrolifero, la cui produzione sta aumentando esponenzialmente: quasi che i petrolieri avessero fretta, oggi più che mai, di spremere dalla terra fino all’ultima goccia di petrolio, prima che venga loro proibito di farlo.

Chi si mette di traverso di fronte agli affari, rischia di venire falciato. Anche perché far uccidere un ambientalista significa tentare di impaurire tutti gli altri, limitandone il numero. Pochissime le indagini condotte dalle autorità, e quasi sempre senza esito. In pratica, degli attivisti ci si limita a constatare l’assassinio.

Chi non vuole si conosca la situazione?

Tra gli attivisti per l’ambiente uccisi, due su tre (molto spesso indios) muoiono in America Latina, dove maggiore è l’aggressione del turbocapitalismo alla natura, e dove più potenti sono il supporto e l’impunità che governi compiacenti assicurano questa aggressione: si pensi, ad esempio, al governo di Jair Bolsonaro, che arrivò a definire le organizzazioni ecologiste non governative «un cancro da estirpare con le armi».

Ma l’ex presidente brasiliano non è certo l’unico a seminare odio contro chi difende l’ambiente. Lo fanno anche Putin e Trump; lo fanno molti giornali, network televisivi e partiti (solitamente di destra) in tutto il mondo. Ciò non stupisce, vista la potenza economica delle multinazionali del fossile, che controllano capitali talmente enormi da fare invidia ai bilanci statali dei Paesi ricchi.

Se il lupo accusa l’agnello

Anche da noi c’è chi non perde occasione per dissimulare la propria scarsa simpatia per il movimento verde. Lo scorso luglio — mentre in Italia imperversavano temperature da forno a microonde, tornado, alluvioni lampo, chicchi di grandine come palle da baseball, onde di marea simili a tsunami — Giorgia Meloni, intervenendo nella campagna elettorale spagnola in favore del partito di estrema destra Vox, ha sostenuto con convinzione la «necesidad de contrarrestar este fanatismo ultraecologista».

Nel frattempo la stampa internazionale conservatrice si sforza di screditare il movimento ecologista definendolo “manovrato” da “miliardari” e “celebrità di Hollywood” e finanziato dal Climate Emergency Fund (CEF), ente benefico fondato da alcuni membri della famiglia Kennedy e da altri filantropi famosi. Senonché tale accusa risulta ridicola quanto lo risulterebbe quella di un boss mafioso che accusasse i magistrati di esser pagati, nella loro lotta contro il traffico di stupefacenti, dalle comunità terapeutiche per il recupero dei tossicodipendenti.

Rabbia e violenza contro chi protesta (pur nonviolento e pacifico)

Tuttavia le campagne di stampa funzionano. Troppi odiano chi si impegna nella difesa del pianeta. Un episodio recente è avvenuto a Panama lo scorso novembre: un automobilista ha ucciso a pistolettate due ambientalisti che bloccavano il traffico sull’autostrada Panamericana per protesta contro la miniera di una multinazionale.

In Italia gli automobilisti reagiscono con rabbia e violenza contro chi interrompe la loro corsa per motivi ecologici, mentre dura e rabbiosa arriva la risposta delle autorità.

Discernere il vero dal falso sulla base dei dati oggettivi

La Scuola pubblica italiana insegna il rispetto per l’ambiente, le norme del civile rispetto e dell’educazione civica, la cura del benessere collettivo, la conoscenza scientifica del mondo naturale e delle sue leggi. Gli scienziati del clima già da anni hanno dichiarato il proprio appoggio alle richieste del movimento ambientalista internazionale, che vede — giustamente — tra le proprie fila tantissimi giovani, preoccupati per il proprio futuro e per quello di tutta l’umanità. La Scuola non ha tra i propri compiti solo quello di preparare i giovani al mercato del lavoro. La Scuola ha sempre mirato — e deve continuare a farlo — alla costruzione nei giovani di una mentalità favorevole al progresso, alla pace e alla costruzione di un mondo migliore, indipendentemente da mode e interessi economici, ideologici, partitici e religiosi.

Se aumentano l’intolleranza e l’insofferenza per chi dice la verità sulla base del dato scientifico e nel nome degli interessi comuni, la Scuola deve aiutare i giovani a discernere il vero dal falso, senza tentennamenti e senza ambiguità di sorta. Ricordando sempre le parole del mahatma Gandhi: «Prima ti ignorano; poi ti deridono. Poi ti combattono. Poi vinci».

Alvaro Belardinelli

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