Lo psicoanalista Massimo Ammaniti ha rilasciato un’intervista La Repubblica in cui ha parlato di studenti, insegnanti, disagio psicologico e uso (e soprattutto abuso) degli smartphone tra i giovanissimi. Ecco cosa ha detto commentando lo sfogo di alcuni ragazzi che abbiamo riportato ieri.
“Mi hanno molto colpito le testimonianze dei ragazzi che hanno messo sotto accusa la scuola, definita il luogo che provoca ansia, malessere, addirittura crisi di panico. Come possiamo ignorare questa richiesta di aiuto? Una società adulta non può arrendersi di fronte al malessere della propria gioventù. Sarebbe come rinunciare al futuro. Ma non mi stupisce affatto che degli adolescenti della generazione Zeta non riescano a stare seduti in classe più di qualche ora e la loro attenzione sia scarsa e intermittente. La mente dei nostri ragazzi è stata trasformata per sempre dal contatto e dall’abuso degli smartphone”, ha esordito.
“I ragazzi sono cambiati, anche da un punto di vista neurobiologico, ma la scuola è rimasta indietro, antiquata, anzi alla grande crisi esistenziale dei giovanissimi risponde tornando ai voti, alla disciplina, a una meritocrazia che non si sa bene cosa sia”, ha proseguito l’esperto.
Ammaniti si è concentrato sulle conseguenze dell’uso smoderato dei cellulari: “Il 2012 è oggi considerato uno spartiacque tra le generazioni. Perché è l’anno in cui a livello di massa si diffondono gli smartphone che arrivano anche nelle mani dei bambini. Strumenti di una potenza inaudita, a mio parere anche devastante se regalati prima dell’adolescenza. A distanza di oltre 10 anni noi vediamo l’impatto che hanno avuto su menti così acerbe. Un dato su tutti: il disturbo dell’attenzione”
Ed ecco cosa dovrebbe fare la scuola a suo avviso: “Ripensare i metodi di insegnamento mi sembra l’unica strada. Altrimenti continueremo ad avere professori che parlano a una platea che non li segue più. Con la frustrazione che ne consegue. Cominciamo con il mettere un grande tavolo al centro dell’aula, a lavorare per gruppi. Anche perché l’altra faccia della tecnologia è che questi ragazzi hanno competenze nuove, sono velocissimi nell’imparare, nel creare nuovi linguaggi. Ripensiamo la nostra edilizia scolastica, pesante, vetusta che già di per sé mortifica il bisogno di muoversi nell’età in cui il corpo non può stare fermo, esplode nei cambiamenti ormonali, vuole esporsi. Sapete come si chiama? Angoscia claustrofobica”.
“Gli smartphone in mano giorno e notte sono solo una parte del problema. Dietro questo malessere ci sono altri due fattori che riportano però all’incomunicabilità tra due mondi. Tra una scuola vecchia e una gioventù nuova. Oggi i ragazzi sono figli unici, crescono in famiglie iperprotettive, con genitori molto vicini e complici. Sono un po’ il centro del mondo. A scuola però vengono valutati con metodi tradizionali che non tengono affatto conto di loro come persone, delle loro difficoltà. E questo li schiaccia, li fa soffrire, lo ritengono ingiusto. Hanno poi una serie di fragilità che derivano dagli anni del Covid, da un futuro precario, figlio anche della caduta dell’identificazione verticale con i mestieri e lo status sociale dei genitori”, questo il quadro dei giovani di oggi.
“I ragazzi vogliono molto di più. Chiedono ai prof di essere educatori, di avere ruoli guida, oltre ai voti, oltre alle interrogazioni. È la prima generazione che rivendica politicamente il diritto al benessere psicologico. O la scuola si adegua o perde. È una rivoluzione se ci pensate”, ha concluso.
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