Tecnicamente inadeguato il titolo delle mie riflessioni.
Eppure non potrei esprimermi diversamente rispetto a ciò che sempre più spesso riscontro nel mio lavoro. Da oltre 11 anni insegno stabilmente nella Scuola per l’Infanzia.
Da almeno 5 mi appare ormai evidente che il numero di bambini con un rapporto critico con le proprie e le altrui emozioni sta aumentando, inesorabilmente.
E’ quasi scontato che non le identifichino chiaramente né le raccontino, si tratta di un percorso in divenire.
Quel che più mi colpisce e mi interroga è l’evidente incapacità di individuarne la cifra, comprenderne la valenza.
“Buone” o “cattive”, distruttive o stimolanti non fa differenza. I bambini subiscono le
emozioni, quasi fossero una condizione a loro estranea. La sola urgenza è tirarle fuori, rapidamente, senza sentirle proprie, senza comprenderne il valore.
E’ un atto di “consumo” il loro, con conseguenze spesso rovinose… Ma procediamo in concretezza. Vita di classe: quando il “punto di rottura” è superato, quando l’aula si trasforma in un campo di battaglia cosparso di giocattoli lanciati, lacrime di inimicizia, urla di ribellione, gli artefici del conflitto assistono inerti, lo sguardo perso, lontani i pensieri.
Non sanno spiegare il perché di certe azioni, sanno solo ripetere che sono “necessarie”, senza comprenderne la ragione. Perché ora sono liberi, hanno il controllo… Fino alla
prossima emozione! Quando sarà di nuovo esplosione e tutto si fermerà, catturato da un’onda emotiva incontrollabile.
Capace di far franare tutto, perché tutto si interrompe, come per una frattura: curiosità, entusiasmo, scoperte, conquiste, attenzione. L’intero processo educativo viene travolto assai pesantemente. Potrei descrivere decine di bambini vivaci, interessati, partecipativi,
attenti, che, sotto scacco di emozioni non contenute, perché ingestibili, si bloccano completamente.
Mostrano una fragilità senza precedenti… Restano fermi i bambini. E aspettano. Di ritrovare la propria direzione, di rapportarsi ai propri sentimenti. Hanno urgente bisogno di essere guidati nell’acquisizione di consapevolezza. Affettiva ed emotiva.
Leggo dell’Educazione Civica come materia di insegnamento. Credo che tocchi ancor prima all’Educazione Emotiva essere riconosciuta quale percorso educativo, sin dalla scuola per l’infanzia. E’ necessaria, urgente la sua istituzione.
Un buon cittadino sa confrontarsi con gli altri, rispettare le regole, contribuire al progresso sociale, solo partendo da sé stesso, da un rapporto equilibrato e coerente con aspirazioni, idee, aspettative, stati emotivi.
Il clima dispersivo, sospettoso, accusatorio che anima le nostre città, richiede un intervento alle fondamenta della crescita umana. La scuola può fare la differenza, ponendosi come riferimento per i bambini.
Guidandoli a riconoscere i propri stati emotivi, la varietà di sensazioni e sentimenti
dai quali hanno origine, la risorsa che rappresentano per raccontarsi e rapportarsi al mondo in maniera autonoma, intelligente, creativa. Buone letture, momenti di scambio, interazioni consapevoli, questi gli strumenti di cui dispone la scuola.
Che abitualmente si utilizzano fin dai tre anni di età. Quella per l’infanzia non è la scuola del gioco fine a sé stesso, ma della formazioneattraverso il gioco. Che ne è il tramite, lo strumento privilegiato ma non la sola risorsa.
La scuola per l’infanzia può e deve, sempre più chiaramente, formare i bambini alla consapevolezza emotiva, alla cura di sé e della propria sensibilità, del proprio vissuto, al fine di renderli autonomi e propositivi nell’affrontare paure e fragilità, sfide perse e nuovi traguardi. L’educazione emotiva è presupposto e base dello sviluppo integrale della personalità.
Ignorare l’evoluzione infantile senza valorizzarne il percorso educativo, significa continuare ad assistere al crollo di alti edifici senza solide fondamenta.
Paola Matania
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