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Analfabetismo emozionale dei giovani

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Si chiama “analfabetismo emozionale”, l’impreparazione cioè degli adolescenti a gestire le proprie emozioni visto che in epoca globale né la scuola né le famiglie si stanno assumendo più il compito di insegnare come controllare i bisogni primordiali e le emozioni profonde degli adolescenti, componendo i contrasti e educando ad andare d’accordo fra coetanei. 

La mancanza dunque di tale istruzione è causa centrale della manifestazione inaspettata di atti di violenza benché a questo punto nessuna meraviglia dovrebbe colpire allorché un ragazzo fa strage in una scuola, un altro si impicca, altri ancora si drogano, i bulli aumentano in modo esponenziale. 

Gli insegnanti, dal loro versante, sono soprattutto occupati a completare il programma, piuttosto che insegnare questa disciplina, che richiede comunque competenze, mentre le famiglie demandano alla scuola il loro fondamentale ruolo educativo e si ritrovano pure frammentate, divise, allargate in sottogruppi oppure così prese dal quotidiano da lasciare i figli in balia della televisione o in strutture asettiche dove l’affetto e l’attenzione diventano un lavoro piuttosto che un sentimento. 

L’aumento delle turbolenze fra gli adolescenti diventa allora un fatto mondiale, globale come la sua economia, benché gli Stai uniti siano stati i precursori di questa inquietudine che ora si sta abbattendo anche in Italia, lasciando a pedagogisti e educatori, a psicologi e esperti il compito di risolvere il problema. 

Ebbene se prendiamo come modello le più documentate statistiche Usa scopriamo che ogni bambino che nasce ha oltre il 40 per cento delle probabilità di vivere, prima dei diciotto anni, in una famiglia che si separerà; che il 65% dei bambini visitati in un servizio di psicopatologia infantile proviene da famiglie separate o divorziate.

Ma non solo, gli Usa hanno conosciuto la percentuale più alta di arresti di minorenni per reati di violenza; gli arresti per stupro sono raddoppiati nel giro di qualche decennio; gli omicidi compiuti da minorenni sono quadruplicati a seguito soprattutto di sparatorie e si è triplicato il numero dei suicidi. Ma non finisce qui. 

Negli ultimi dieci anni un numero sempre più elevato di adolescenti è rimasta incinta e con gravidanze indesiderate, insieme alla tendenza di avere rapporti sessuali sempre più precoci all’interno dei quali la diffusione di malattie veneree, compreso l’aids, diventa esponenziale. 

L’uso di eroina e cocaina è triplicato ma con una incidenza 13 volte superiore nei quartieri popolati da neri e dove pure la malattia mentale è l’infermità più diffusa, insieme ai disturbi di comportamento. Ultimo dato: la prospettiva a lungo termine di sposarsi e di avere una vita matrimoniale serena e stabile si fa per i ragazzi americani di oggi sempre più cupa.

Un’altra cosa singolare che arriva dagli Usa sta nel fatto che nessun ragazzo, ricco o povero, è esente da rischi di devianza e tutti mostrano la stessa costante caduta mentre si è triplicato il numero dei ragazzi che hanno avuto bisogno di sostegno psicologico. 

Questo per quanto riguarda gli Usa. A livello internazionale studi mettono in mostra un dato altrettanto preoccupante: in tutte le nazioni afferrate dagli stili di vita moderni si sta diffondendo una nuova epidemia, sconosciuta quasi del tutto a inizio secolo XX: la depressione. 

La depressione infantile, che un tempo non si sapeva neanche cosa fosse, si affaccia come un tratto costante dello scenario attuale investendo fasce sempre più basse di età.

Quella che Umberto Galiberti chiama: L’ospite inquietante, si sta insinuando ferocemente nella mente di ragazzi e in età sempre più precoce, senza che ci sia un vaccino adatto a debellarla. 

Dove trovare gli anticorpi e chi debba trovarli sono domande cui è difficile rispondere, benché la scuola ancora una volta può essere l’istituzione adatta a limitare o arginare il fenomeno. 

Ma se la risposta è l’istruzione occorre intervenire e non già tagliando fondi ma investendo in personale qualificato, strutture, mezzi. Né le Università possono tirarsi indietro formando appunto scienziati della pedagogia e luminari della didattica.