Mi trovo ad assistere, per caso, in un bar, alla festa di compleanno tra ragazzi di quinta elementare. Li vedo, per tutto il tempo, assorti a digitare sul cellulare. Mangiano distrattamente, senza nemmeno guardare ciò che hanno nel piatto, scambiandosi rare battute. Sono sconvolto. Ad un certo punto, si presenta il papà della festeggiata e, di fronte a quel mortorio, rivolto alla figlia, esclama: “Allora la prossima volta la festa la facciamo su WhatsApp!”. “Siii, risponde la ragazzina, c’è un programma per organizzare le feste on line”. Noto, però, che la reazione dell’uomo non è emotiva ma pacata, rassegnata.
Dieci anni fa, saremmo stati tutti più drammatici. Quei ragazzi li avremmo considerati degli alieni. Ma, negli ultimi cinque anni c’è stato un giro di boa. Ci siamo ritrovati di fronte ad una generazione integralmente digitale. Se ci mettiamo a fare le tragedie, succede che gli alieni siamo noi.
Facciamocene una ragione. Siamo dentro una nuova civiltà. È accaduta, quasi a nostra insaputa, quella che è forse la più grande svolta culturale di tutti i tempi. La comunicazione, da fisica, territoriale, frontale, si è trasformata in elettronica, extra spaziale, selettiva, basata sull’affinità e non sulla costrizione dell’ambiente. Con delle conseguenze profonde. Perché, se cambia la modalità di comunicare, cambia anche il modo di pensare e di rappresentare il mondo. Cambia la realtà stessa.
È vero. I ragazzi di oggi pensano in modo diverso e spesso non sanno parlare, non comprendono il lessico. Il cellulare li abitua a messaggi visivi a raffica, per cui tutto diventa fluido, cangiante, povero di significato. Non hanno più modo di ritenere ciò che vedono a flusso nello schermo del loro smartphone e, di conseguenza, ciò che ascoltano a scuola, ciò che leggono, ammesso che leggano. Tutto nasce e muore nell’immediato, senza lasciare traccia durevole. L’apprendimento non esiste più. Almeno quello che nasceva dallo studio personale, metodico e produttivo, grazie ad un’organizzazione strutturata dei concetti, operata in modo scritto, vocale o solo mentale.
Notavo, l’altro giorno, quanta ricchezza di significati può essere trovata anche nella lettura di un testo semplice quale, ad esempio, la nota poesia di Carducci, “San Martino”, quella che inizia con “La nebbia agli irti colli …”. Descrizioni paesistiche che si rivelano simboli seducenti del mondo interiore … Colli aguzzi come progetti ambiziosi ed impossibili, venti di maestrale angoscianti come ansie profonde del cuore, vini e spiedi che rimandano al conforto dell’amicizia e della convivialità … Ma tutto ciò può essere comunicato solo attraverso l’analisi delle parole, la ricerca dei significati emotivi, simbolici, valoriali di un testo …
Qualche ministro della pubblica istruzione, a suo tempo, ha creato scandalo quando lo ha affermato. Ma, forse, è venuto veramente il momento di trattenere a scuola i ragazzi nelle ore pomeridiane, per momenti di studio collegiale, compiuto grazie a sintesi, schemi, sequenze logiche, ricerca della tesi generale di un brano che si trasforma poi in titolo creativo.
Occorre tanto dialogo coscientizzatore per diventare consapevoli dei valori della nostra cultura, per apprezzare gli stili di vita, nostri e degli altri, per poter decifrare il senso dei nostri comportamenti. Come occorre contrastare, da parte della famiglia e della scuola, la civiltà dell’”homo videns”, basata sulle emozioni superficiali, con massicce dosi di “homo sapiens”, creatore di mondi di significato.
Le trasformazioni epocali vanno comprese dall’interno, penetrando nella loro intima logica, valorizzandone le specifiche ricchezze. Il mondo informatico non va demonizzato ma addomesticato, adattato alle esigenze di una formazione non solo tecnico-scientifica, ma autenticamente culturale, basata sulla parola e sul pensiero. Anche la pagina web può promuovere un sapere significativo.
Luciano Verdone
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