“Osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare”: basterebbero queste poche, pregnanti parole, poste alla fine del capitolo XXXI del suo romanzo, per far comprendere ai nostri studenti l’attualità di uno dei più intelligenti autori della letteratura italiana: Alessandro Manzoni ( il romanzo è ovviamente “I promessi sposi”). “Ma parlare è più facile di quelle altre (cose) insieme”, chiosa lo scrittore. E lo crediamo bene in tempi in cui ciascuno pensa di poter dire la sua su Facebook e sui social.
La peste del 1630 provocò un numero impressionante di morti, certamente e fortunatamente non paragonabile a quello del Coronavirus, eppure la situazione di allora, per certi aspetti, richiama quella che stiamo vivendo oggi. La confusione iniziale, per esempio: politici e anche medici ed esperti hanno cercato di rassicurarci su quella che sembrava essere una “semplice influenza” , che soltanto più tardi l’OMS ha definito “pandemia”. E così, si parva licet componere magnis, accadde nel XVII secolo: prima che si parlasse esplicitamente di peste, con una esecrabile “trufferia di parole” si cominciò timidamente a dire “febbri pestilenti”.
Anche allora il contagio scoppiò in Lombardia, nella terra di Chiuso, tra Lecco e quella Bergamo tristemente alla ribalta delle cronache, purtroppo, anche oggi.
E il ritardo con cui furono emanate le “bullette”, cioè i divieti di accedere in città da parte delle persone provenienti da zone contagiate, non ricorda forse gli indugi dei governanti di oggi nell’adottare provvedimenti più restrittivi ?
Ma l’attualità di Manzoni risalta ancora di più ai nostri occhi se si passa a rievocare l’episodio che ha per protagonista Ludovico Settala, uno degli uomini più autorevoli del suo tempo. Un giorno, mentre egli si reca a visitare gli ammalati, viene circondato dal popolo inferocito, intenzionato a linciarlo perché lo accusano di voler diffondere il panico “ tutto per dar da fare ai medici” ( nel giudizio di quella che, in un’altra parte del romanzo, l’autore definisce”marmaglia”). Il Settala ha avuto semplicemente il coraggio di chiamare le cose con il loro nome : forse lo vogliono ricompensare così quegli stessi che lui ha curato e beneficato, cercando di salvarli dalla peste? Quando, però, Settala fa prima accusare la povera Caterinetta Medici di stregoneria e poi condannarla alla tortura delle tenaglie e al rogo, gli stessi lo osannano ( come si legge anche nella “Storia di Milano” di Pietro Verri).
Quanta verità, infine, nella seguente riflessione ( a proposito dei presunti untori): “La collera aspira a punire … e le piace più attribuire i mali a una perversita’ umana, contro cui possa far valere le sue vendette, che di riconoscerli da una causa con la quale non ci sia da far altro che rassegnarsi “.
Calza a pennello, a questo punto, la definizione che Italo Calvino ha dato dei classici: “È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona” (in “Perché leggere i classici”).
Anche in tempi di didattica a distanza facciamo (ri)leggere ai nostri alunni.
Giuseppe Scafuro
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