Anche le scuole cattoliche pagheranno l’Ici?

Presenta tutti i requisiti per spaccare l’opinione pubblica, oltre che la piazza politica, l’intenzione del governo di applicare la tassazione anche agli immobili di proprietà della Chiesa: nei giorni scorsi al Senato è stato proposto un emendamento al decreto liberalizzazioni che punta ad estrapolare i beni ecclesiastici da quelli inclusi nel regime delle esenzioni.
La questione non è di poco conto: in Italia esistono quasi 8mila istituti scolastici cattolici, la maggior parte dei quali (oltre 6mila) dedicati all’assistenza e all’istruzione dei bimbi fino a 6 anni (gli altri quasi equamente divisi tra primaria e secondaria). Diversi responsabili di questi centri d’istruzione hanno spiegato che la modestia dei contributi statali e l’esigenza di tenere basse le rette, complice la crisi economica, non permetterebbe di pagare l’Imu: per loro la tassa obbligatoria per molti si tradurrebbe in un viatico verso la chiusura.
Ma il punto non sarebbe questo: secondo quelli che respingono l’applicazione dell’Ici, nel frattempo diventata Imu, anche ai beni della Chiesa siamo di fronte ad una scelta iniqua: si dimentica, sostengono, che queste istituzioni hanno un fine sociale non indifferente: mettere in crisi queste strutture, gravandole della tessa sugli immobili, rischierebbe in una buona parte di farle chiudere. E per lo Stato si tratterebbe di una grave perdita. Perché dovrebbe comunque assolvere lo stesso servizio, ma a costi decisamente più alti.
Secondo Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, “sarebbe un autogol, una forma di autolesionismo tanto smaccata che neppure vogliamo pensarci”. Sulla stessa linea sono anche i partiti politici vicino all’area cattolica. Guidati, ancora una volta, da Maurizio Lupi (Pdl), vicepresidente della Camera dei deputati: Lupi si è rivolto al Governo chiedendo di chiarire una volta per tutte “se asili nido e scuole parificate devono pagare la nuova Imu o no. È urgente un intervento chiarificatore sull’emendamento presentato adesso dal governo al decreto liberalizzazioni”. In ogni caso, ha sottolineato Lupi, “sarebbe inaccettabile che un asilo nido parrocchiale, che svolge da sempre funzione pubblica, pagasse l’Imu”.
A sostenere questa teoria è anche l’Udc: “gli edifici della Chiesa adibiti ad attività commerciali – ha detto il leader Ferdinando Casini – è giusto che paghino come tutti gli altri”. Per poi però aggiungere: “molto diverso è il caso degli enti assistenziali”, ma anche “delle scuole: coloro che alleviano le ferite aperte nella società italiana – ha concluso Casini – devono essere esentati da tassazione, perché svolgono un ruolo di supplenza rispetto alla latitanza del pubblico”.
Il punto è, quindi, se anche le scuole cattoliche possano essere annoverate tra le “modalità commerciali”. E secondo i sostenitori dell’emendamento la risposta è sì.  Significativo, in tal senso, il parere, Nichi Vendola, leader del Sel, secondo cui è inutile nascondersi dietro il conservatorismo a tutti i costi: siamo di fronte, infatti, ad un “adempimento di un dovere perché siamo a rischio di procedura e multa per infrazione comunitaria. E poi che anche la Chiesa paghi l’Imu è un fatto di decenza e corrisponde al principio evangelico ‘Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio’”.
L’impressione è che far tornare indietro il Governo non sarà facile: in una nota Pazzo Chigi ha spiegato che “l’emendamento sull’Ici alla Chiesa che il governo si appresta a presentare al dl liberalizzazioni, determina effetti positivi sul gettito, anche alla luce del più efficace contrasto di fenomeni elusivi ed abusi che ne deriva”. Tutto dipenderà, quindi, da dove verrà collocata la funzione sociale delle scuole cattoliche: prima o dopo l’attività commerciale? E per dei tecnici che devono far quadrare i conti in rosso dello Stato la risposta non sembrerebbe così difficile. Nelle prossime ore, probabilmente già lunedì 27 febbraio, si esprimerà sul tema la commissione Industria di Palazzo Madama.
Alessandro Giuliani

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