Un’intervista a cuore aperto per ricostruire alcuni momenti intimi (inediti per i lettori) di uno degli scrittori più amati, in Italia e all’estero, degli ultimi decenni, Andrea Camilleri.
A regalare al pubblico alcuni racconti è la nipote, Arianna Mortelliti, figlia di Andreina Camilleri, che negli ultimi anni fu gli occhi e le mani del nonno scrittore. Arianna oggi insegna scienze in un liceo, ma coltiva sempre il suo grande amore per la scrittura. In un’intervista al Corriere, emergono dettagli amorevoli del rapporto nonno/nipote.
“Amato per una vita – inizia la docente – e seguito da vicinissimo nel suo ultimo anno, fra 2018 e 2019. Non mi staccavo più quando, già cieco da tempo, dopo la rottura di un femore, era costretto sulla sedia a rotelle. Non insegnavo ancora Scienze nei licei e stavo sempre accanto a nonno, nel suo studio a Roma, insieme al computer. Sono stata i suoi occhi. E le sue mani. Lui dettava, io battevo sui tasti, poi leggevo a voce alta, correggevamo insieme, rileggevo per il suo ultimo sforzo letterario, L’autodifesa di Caino, il monologo che sperava di potere portare al teatro. Così diventammo sempre più amici e confidenti. Un’esperienza che mi ha legato ancora di più a quel nonno meraviglioso”.
E la prof Arianna adesso segue le orme del nonno, in giro per il suo primo romanzo, Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni: “La trama è legata all’ultimo mese di vita di nonno Andrea. Il mese del coma. Nel 2019. Comincia il 17 giugno e si conclude il 17 luglio. Il protagonista del romanzo è un vecchio signore che sembra vegetare per un mese in corsia. Visitato a turno da parenti e amici, pronti a raccontare sé stessi davanti a chi forse non ascolta più o, forse, percepisce ancora. Un intreccio di dialoghi, di storie con un finale a sorpresa”.
E nei ricordi di bambina c’è la città natale di Camilleri, la vera Vigata, Porto Empedocle: “A Pasqua del 2017 ci volle tutti a Porto Empedocle, cuore dei suoi libri. Fu l’ultimo viaggio. Noi fra la statua di Pirandello e quella di Montalbano che ha i baffi e capelli lunghi. Ovviamente a cena nella trattoria del vero Commissario, dal nostro amico Enzo Sacco. Io, vegetariana, una pasta alla carrettiera. Nonno, già tenuto a dieta, invece in libero sfogo, fritture comprese. Musica siciliana per tutta la sera. Felice come un bambino. Mangiava di tutto”.
E sull’importanza della sua terra, l’insegnante sottolinea il rapporto con il patrono della città: ” San Calò. Cioè San Calogero. Secondo nome di nonno. Ateo, un po’ come me, eppur devoto al santo nero che a Porto Empedocle si festeggia il 6 settembre (data di nascita di Camilleri, ndr). Nonno diceva che quel giorno San Calò usciva dalla chiesa e lui dal ventre di sua madre. Quando nacque passava sotto casa la processione. Il santo quasi all’altezza della finestra. La levatrice si affacciò col bimbo in braccio mostrandolo al santo che ha sempre un libro in mano. E profetizzò: ‘Diventerà dotto’.”
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