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Anni Settanta, quando “il comunismo pareva un destino ineludibile: te lo raccontavano a scuola”. Rampelli ricorda la strage di Acca Larentia

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Negli anni Settanta “si finiva per frequentare una sede del Movimento sociale italiano solo per amore. Perché tutt’intorno la società andava a sinistra, il comunismo pareva un destino ineludibile, te lo raccontavano a scuola, all’università, nelle fabbriche, nei quartieri e la Democrazia cristiana non aveva grande voglia di puntellare la libertà. Si aderiva al Fronte della gioventù, appunto, per amore della libertà, per difenderla dalla tirannia del socialismo reale che sfacciatamente agiva coi carri armati nelle nazioni europee cedute a Stalin alla fine della seconda guerra mondiale”. A parlare è Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, vicepresidente della Camera dei deputati, in memoria della strage di Acca Larentia.

Il riferimento è al pluriomicidio di carattere politico che si realizzò a Roma il 7 gennaio 1978, quando in agguato furono uccisi due giovani attivisti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano.

Qualche ora dopo, morì un altro attivista della destra sociale, Stefano Recchioni, ucciso da un capitano dei Carabinieri, negli scontri con le forze dell’ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso

“Il Grazie Franco, Francesco, Stefano per il vostro coraggio, vi avevamo promesso la vittoria, unica consolazione capace di dare un senso al non-senso del perdere la vita a vent’anni”, dice Rampelli, che ricorda: in quegli anni “si entrava in un ‘covo’ del Fuan (così lo chiamava la stampa) per amore dell’Italia, per il gusto di essere patrioti mentre intorno la società ti raccontava che era peccato, che avere a cuore la propria nazione significasse essere nostalgici e il nostro passato – dall’antica Roma al Risorgimento – andasse offeso e cancellato. Per questo chi è caduto nell’epopea degli anni ’70 è un eroe”.

Nell’Italia di cinquant’anni fa, continua Rampelli, “si dichiarava di destra quando gli altri intorno dicevano fosse fascista e insieme urlavano con la bava alla bocca che ‘uccidere un fascista non era reato’”.

Il vicepresidente della Camera non chiede “la vendetta, che rabbiosamente volevano alcuni stolti inconsapevoli che quella spirale d’odio era l’obiettivo della strategia della tensione, ma la vittoria. Per conquistarla ci sono voluti tanto cuore, tanta testa e tanto tempo. Ma vittoria è stata. Sorrideteci ora dal cielo e dateci la forza per non deludere la nostra comunità. Ancora una volta segnate il passo e guidate il nostro viaggio terreno”.