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Anno nuovo: cosa può insegnare a chi vive nel mondo della scuola un pedagogista d’altri tempi come Francisco Ferrer?

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Ci siamo appena congedati da un anno che non è stato privo di problemi, di drammi, di sciagure: molte di queste, purtroppo, derivano da scelte scellerate degli esseri umani. La guerra, i disastri ambientali, i morti per fame e per mancanza dei più elementari mezzi di sostentamento, la miseria, non ci sarebbero senza una scelta che deriva quasi sempre dalla rapacità dissennata di pochi ai danni di molti. Perciò, ancora una volta, è necessario guardare alla scuola con una visione ampia: le potenzialità di una istituzione creata per trasmettere conoscenza sono enormi e la conoscenza è alla base di una società di donne e uomini liberi.

Nei nostri tempi, attraversati, persino nei nostri fortunati Paesi che non subiscono l’orrore della guerra, tanto dalla insopportabile casualità della violenza quanto da una sorta di assopimento sociale che sembra paralizzare qualsiasi moto di rivolta contro la piega di preoccupante disuguaglianza che la nostra società sta prendendo, è difficile immaginare un’Europa scossa dall’indignazione e in rivolta a causa della condanna a morte di un pedagogista libertario. Nella città in cui vivo, Torino, il fatto che interi quartieri operai torinesi scendano in piazza e scioperino in massa per l’ingiustizia subita da un intellettuale spagnolo ha, ai nostri occhi, qualcosa di incredibile. Eppure, tanto tempo fa, questo è avvenuto: siamo nel 1909. Francisco Ferrer y Guardia, pedagogista catalano, fondatore della Escuela moderna, viene accusato, peraltro ingiustamente, di essere l’ideatore delle rivolte operaie scoppiate in Spagna contro la guerra dichiarata al Marocco, che avevano trovato la loro massima espressione nella “Settimana tragica” (26 luglio-1 agosto 1909).

La notizia dell’arresto e della condanna di Ferrer destò scalpore anche in Italia. A Torino le barriere operaie insorgono e scoppia la protesta per la condanna di Ferrer: si protesta anche in Toscana e nelle Marche contro la condanna a morte di un pedagogista convinto assertore dell’educazione integrale razionalista, antiautoritaria, antistatale e anticlericale. Quelle classi subalterne che Ferrer vorrebbe emancipare attraverso l’educazione, gli sono accanto e lo sostengono. L’esecuzione avverrà comunque il 13 ottobre del 1909; il giorno dopo Giovanni Pascoli distribuirà a Bologna volantini con una epigrafe dedicata al maestro. Lo “scoppio di fucili” che uccide Ferrer riecheggia nelle “scuole della terra” e rimbomba “nelle officine del mondo”; “i pensatori levarono gli occhi dal libro / e i lavoratori alzarono il pugno dall’incudine…”: così scrive Pascoli nel 1909. Ma più dell’intellettuale che apprezza l’intellettuale colpisce l’indignazione di intere masse operaie. La scuola che Ferrer immaginava era all’insegna del “razionalismo umanitario, che consiste nell’infondere nell’infanzia il desiderio di conoscere l’origine di tutte le ingiustizie sociali, perché conoscendole, essa possa a sua volta opporvisi e combatterle. Il nostro Razionalismo Umanitario combatte le guerre fratricide interne ed esterne, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la schiavitù della donna; combatte tutti i nemici dell’armonia umana, ignoranza, vizio, cattiveria, orgoglio ed altre brutture che tengono gli uomini divisi in oppressori e oppressi“.

Ecco, in estrema sintesi, la descrizione della Escuela moderna di Francisco Ferrer y Guardia; una scuola attenta ai valori di libertà dell’individuo e di giustizia sociale, una scuola attenta alla Natura e volta a formare negli studenti una mentalità critica:

Si insegni storia o agricoltura, letteratura o chimica, algebra o greco, risulterà sempre che si sarebbe potuto farlo in due modi; uno che irrobustisce il giudizio, l’altro che lo atrofizza e lo falsa al suo nascere; uno che fissa per sempre all’alunno l’ordine delle nozioni che si presentano al suo esame per la prima volta; l’altro che lo disgusta per sempre. La pedagogia consiste esattamente nel conoscere, formulare e applicare nella misura del possibile il primo di questi metodi“.

La scuola elementare per Ferrer dovrà essere “mista, maschile e femminile… E tale dovrà essere la scuola dell’avvenire. E ci dovranno essere bambini ricchi e bambini poveri, per crescere insieme. Ecco la parola-chiave: “insieme”. Se si cresce insieme, i maschi rispetteranno le femmine, a condizione che si cresca davvero ‘insieme’ e che gli adulti sappiano svolgere la loro opera di mediazione”. Ai tempi di Ferrer era chiaro per tutti che la scuola aveva un valore emancipatorio e che l’uscita dall’ignoranza era il primo passo verso la costruzione di una umanità nuova. Cosa è rimasto adesso di una così forte tensione, di una visione così ampia e alta dell’educazione? La risposta è scontata: ben poco. Eppure è dal ricordo di quella tensione che bisogna ripartire, nella consapevolezza che ogni vero cambiamento accade in interiore homine e che perciò l’educazione è l’ambito privilegiato in cui tale profondo miglioramento può essere favorito.