Solo il 15% degli italiani tra i 25-64 anni ha un livello di istruzione universitario rispetto a una media Ocse del 32%, mentre dal 2008 le iscrizioni sono in perenne calo e rispetto al 2005 i diplomati che proseguono gli studi si sono ridotti del 27,5%.
Ma tutto va bene, secondo il premier Renzi che, parlando di Università, si è soffermato sui soliti annunci-spot che riguardano la prossima emanazione di un bando per l’assunzione di 500 professori universitari e mille ricercatori.
Il problema è che anziché realizzare una sintesi delle leggi approvate negli ultimi anni (L. 210/1998, L. 230/2005, D.lgs. 164/2006, L. 1/2009), riconoscendo una nuova fascia della docenza relativa alla categoria dei ricercatori, si è deciso di cancellarne l’esistenza, attraverso la loro messa a esaurimento oppure di precarizzarne il ruolo, con la stipula di soli contratti a tempo determinato. La Legge n. 1/2010 sembrava avesse risolto il problema, mettendo in “palio” 5mila posti per il primo gradino della ricerca, ma poi ci ha pensato la 240/2010 a sancire la precarizzazione del personale dell’Università, cancellando la figura del ricercatore a tempo indeterminato dopo la sua messa ad esaurimento. Tra l’altro, in un momento in cui ancora non erano stati nemmeno assunti tutti gli idonei a posto di associato e ordinario a seguito dell’espletamento dei primi concorsi dopo la riforma.
Della Carta europea dei ricercatori, della Raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251, dell’11 marzo 2005, e del Codice di condotta per l’assunzione dei Ricercatori, i governi degli ultimi anni non hanno avuto alcun rispetto. Lo scorso anno anche il Governo Renzi ha dato il suo contributo: con la Legge di Stabilità 2015, sono stati introdotti nuovi tagli al fondo di funzionamento ordinario dell’Università pubblica, pari a 98 milioni in tre anni a partire dal 2016. Così come è stata approvata la riduzione di 140 milioni per gli FSRA, di 42 milioni agli enti di ricerca e di 1 milione all’Afam, l’Alta Formazione Artistica e Musicale, sempre più in decadimento.
E sempre dieci mesi fa, il titolare del Miur, Stefania Giannini, ha firmato e pubblicato il decreto con il nuovo riparto del Fondo di finanziamento ordinario alle università statali e sul “costo standard” di formazione per studente in corso, agganciando lo stanziamento del 20% delle risorse non più a criteri storici, ma alla qualità e alla tipologia dei servizi offerti agli studenti. Con gli atenei collocati in contesti più svantaggiati e con più abbandoni, ad iniziare da quelli del Sud, destinati ad affondare. Ora, il primo rappresentante del governo sostiene che tutto il sistema cambierà in meglio grazie a 500 nuovi docenti e mille ricercatori: un’affermazione che si commenta da sola. (www.imgpress.it)