Nel 2007, in vari punti delle città, troneggiava su grandi cartelloni pubblicitari una fotografia di Oliviero Toscani che riproduceva, nuda, una giovane attrice francese, che era stata bellissima ma che ormai era ridotta ad uno scheletro.
Senza nessuna voglia di vivere.
La modella francese si chiamava Isabelle Caro ed era appunto divenuta il più celebre simbolo dell’anoressia grazie ad una contestata campagna fotografica di Oliviero Toscani. Isabelle Caro morirà tre anni dopo, nel 2010, in ospedale in seguito a una polmonite, all’età di 28 anni. Era ridotta letteralmente pelle e ossa (pesava 31 chili per un’altezza di 1,64).
Un anno dopo, tormentata dai sensi di colpa, la madre della modella si suicidò.
Le foto di Isabelle Caro allora suscitarono scalpore e roventi polemiche. Prima di morire la modella aveva pubblicato un’autobiografia intitolata “La ragazzina che non voleva diventare grassa”.
Queste foto colpivano, certo erano scioccanti, ma io le avrei fatte esporre anche in tutte le scuole per far vedere gli effetti dell’anoressia.
Andava esposto in tutte le scuole, non ipocritamente nascosto. Non è difatti nascondendo la realtà che si risolvono i problemi. Comunque ritengo che spesso si sottovaluti il pericolo rappresentato dall’anoressia.
Infatti, troppi restano abbagliati da una società che produce modelli sbagliati (si pensi a certe top-model), ma non insegna i valori veri della vita. Spinge al consumo, ma non spiega che occorre una alimentazione corretta.
I mutamenti della società incidono sui giovanissimi, la mancanza di affetto spinge verso eccessi che non raramente passano attraverso l’odio per il cibo o l’eccessivo attaccamento al cibo. È un male sociale, terribile perché porta spesso alla morte. La malattia è più diffusa di quanto si creda. Agisce in maniera subdola, nascondendosi. Poi esplode all’improvviso. Spesso quando chi sta attorno se ne rende conto, è già difficile per intervenire, talvolta è troppo tardi. Il recupero è difficile, faticoso e lento. Sicuramente l’attenzione della famiglia è indispensabile, spesso è la scuola la prima ad avvertire il disagio e a informare i familiari.
Da qualche tempo la stessa scuola prova a lanciare l’allarme, a far prendere coscienza agli alunni degli effetti devastanti della malattia. Ma la scuola non può svolgere tutte le funzioni richieste a una società distratta nei confronti dei giovani: educazione stradale, educazione sessuale, lotta alla droga, all’alcol, al cattivo uso del cibo, all’integrazione tra popoli, alla necessità di far convivere religioni diverse ecc. Allora ben venga tutto quello che dall’esterno serve a far riflettere su problemi così gravi.
Il manifesto di Toscani era una sorta di manifesto della disperazione, se serviva anche solo a salvare una vita aveva già raggiunto il suo scopo dato che di anoressia si muore, forse troppo spesso.
E queste morti il più delle volte passano in sordina, si fa finta di niente, forse perché è proprio la società stessa che promuove questi modelli estremi.
Ragazze troppo giovani, spesso bambine, che trovano in questo stile di vita una consolazione, non riflettendo a cosa stanno andando incontro. Io ho la consapevolezza che questo male non è mai troppo distante, non lo possiamo considerare come un qualcosa che capita agli altri, a chi se lo cerca: è un fantasma presente più che mai nel mondo contemporaneo, contro cui si deve fare ancora molto, un fantasma che quando compare travolge e distrugge la vita del malato, ma rivoluziona anche quella di chi gli sta attorno.
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