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Ansia da Covid: i miei figli non sembrano turbati dalla pandemia, è normale?

I miei figli non sembrano essere in ansia da Covid, è normale? O è un segno di resilienza e non mi devo preoccupare? Ecco una prospettiva diversa di un problema che molti genitori si pongono: non quello di gestire le ansie dei propri figli, piuttosto il caso “sospetto” di avere figli che ansia non ne mostrano, almeno in apparenza.

Ma prima di parlare di ansia da Covid, partiamo dal principio: che cos’è l’ansia e come si manifesta l’ansia nei bambini e nei ragazzi?

L’ansia è il correlato fisiologico della paura. Un normale stato che comunica al mio corpo che c’è un pericolo, così che il mio corpo possa rispondere al pericolo e tenersi pronto. Una definizione che ci fornisce lo psicologo Marco Catania, che ci spiega: tutti gli esseri umani provano ansia, il problema è quando i livelli di ansia salgono al punto da paralizzare l’uomo e inficiare la vita quotidiana. In questo caso l’ansia diventa problematica.

Lo psicologo ci avverte: bisogna anche distinguere le fasce d’età, perché l’ansia di un bambino non è quella del giovane adulto.

Ansia da Covid nei minori e nei bambini

L’ansia da Covid nei minori o comunque nei bambini è altra cosa rispetto all’ansia nei ragazzi grandi. Se il bambino non sembra rendersi conto di un pericolo, non è strano o non auspicabile, perché il bambino può magari godere della serenità trasmessa dai genitori o può avere maggiore facilità di adattamento, visto che il bambino è abituato a stare molto a casa con i genitori e dunque la sua routine quotidiana non è stata stravolta dal Covid.

Ansia da Covid nei ragazzi

Se saliamo come fascia d’età, la cosa diventa molto diversa, perché gli adolescenti e i ragazzi grandi vivono la quotidianità e il tessuto sociale, le relazioni con il mondo, in modo molto più intenso di un bambino.

  1. Una possibilità in questo caso è che il pericolo non venga visto e quindi si tenda a sottostimare le conseguenze, un po’ come quando i ragazzi argomentano: “io non metto il casco, tanto guido bene.”
  2. La seconda possibilità, anche più probabile, è quella in cui l’ansia c’è ma non è riconosciuta. Il problema non è sottovalutato, anzi: per un meccanismo di compensazione il ragazzo trasforma il pericolo in una sottovalutazione, ma solo per difendersi dalle sensazioni di paura.

È chiaro che nei due casi bisogna agire in modo diverso. Nel primo caso bisogna informare bene dei rischi e aiutare il ragazzo a valutare la situazione con maggiore precisione e a prendere consapevolezza del problema; nel secondo caso, alle volte, è utile ricorrere a un esperto.

Questa differenza non può essere compresa facilmente dal genitore. Quando si hanno difficoltà a farlo, potrebbe esere utile, come dicevamo, ricorrere a uno specialista, che discrimini tra le due possibilità, decida cosa fare e valuti l’opportunità di intervenire con degli strumenti e del supporto psicologico per l’ansia.

Cosa fare a casa?

Da un punto di vista pratico, cosa fare a casa? “Non esiste la pillola magica, ci ricorda lo psicologo Catania, “ma in molto casi, il genitore, mosso dalle migliori intenzioni, incorre in errore, magari cercando di parlare più spesso del problema o enfatizzando i pericoli del contagio, ecc.”

Magari con l’obiettivo di portare l’attenzione su quel pericolo, il genitore potrebbe aggravarlo. Un simile comportamento, insomma, potrebbe in realtà provocare l’effetto opposto ovvero un rigetto ancora più ampio rispetto a quello stimolo originario, che potrebbe accentuare i comportamenti di svalutazione del ragazzo. In questo caso è corretto fare la cosa contro intuitiva: smettere di parlare del problema. Evitare di alimentare l’ansia. Consiglio generico chiaramente, che non può essere applicato a tutti i casi.

Redazione

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