Personale

Anticipo Tfs fino a 45 mila euro, il lavoratore dovrà pagare alle banche un tasso d’interesse: sarà agevolato

Continua a trascinarsi nel tempo l’applicazione della norma che apre ai dipendenti pubblici la possibilità di percepire fino a 45.000 euro di anticipo del Trattamento di fine servizio, da corrispondere immediatamente dopo la fine della carriera lavorativa, attraverso il supporto del sistema bancario, quindi senza attendere, come avviene ora, anche due-tre anni per vederselo accreditato e pure a rate.

Come funziona il prestito

Solo che l’anticipo del Tfs, fornito dalle banche, non è a costo zero, ma prevede un tasso d’interesse annuo – seppure esente da imposta di bollo e da qualsiasi imposta di registro, diritto o tributo – a carico del dipendente beneficiario, comprensivo di eventuali oneri. Sempre il lavoratore che ha ottenuto l’anticipo del Tfs, dovrà pagare gli interessi annui agevolati alla banca, che sono fissati mensilmente dall’ultimo Rendistato pubblicato dalla Banca Italia, gravato dallo 0,30%.

Su questo punto, sulla percentuale del tasso d’interesse da restituire, si è espressa il 15 febbraio la ministra della P.A, Fabiana Dadone: “Stiamo lavorando – ha detto all’Ansa – per riuscire a ottenere un tasso il più possibile basso, per me deve essere un terzo di quello proposto dal mercato, altrimenti i dipendenti pubblici che vanno in pensione non avrebbero la convenienza” a chiedere l’anticipo della liquidazione, fino a 45 mila euro, attraverso il canale previsto dal cosiddetto Decretone.

Il decreto attuativo entro 100 giorni

La ministra ha anche detto che l’atteso provvedimento attuativo, con tanto di proteste sindacali, arriverà entro la prossima primavera: “abbiamo già mandato le nostre risposte al Consiglio di Stato che aveva espresso delle osservazioni e abbiamo avuto un primo incontro con l’Abi. A breve ce ne sarà un altro”.

Dadone ha quindi detto che “non è facile, perché inizialmente la platea doveva essere ristretta a chi usciva con Quota 100, poi il Parlamento ha deciso di estendere l’anticipo del Tfs-Tfr a tutti”.

Ora se “abbiamo una platea così ampia c’è il rischio di sbilanciare la concorrenza: dobbiamo trovare un equilibrio, posto che gli interessi sono detraibili”, ha concluso Dadone.

Cosa dice la legge

Il via libera all’operazione di anticipo del TFS era giunto con il decreto legge n. 4/2019, convertito nella legge n. 26 del 28 marzo 2019, il quale ha previsto che per fronte ai tempi lunghi di erogazione del trattamento di fine servizio dopo la cessazione del rapporto di lavoro (da un minimo di 105 giorni a un massimo di 24 mesi), è possibile “presentare richiesta di finanziamento di una somma pari all’importo, nella misura massima di cui al comma 5 del presente articolo, dell’indennità di fine servizio maturata, alle banche o agli intermediari finanziari che aderiscono a un apposito accordo quadro da stipulare, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e l’Associazione bancaria italiana, sentito l’INPS”.

Sempre la Legge 26/2019 ha previsto che “ai fini del rimborso del finanziamento e dei relativi interessi, l’ente che corrisponde l’indennità di fine servizio, comunque denominata, trattiene il relativo importo da tale indennità, fino a concorrenza dello stesso”.

L’importo è finanziabile con un tasso agevolato: quello, appunto, che la PA sta cercando di fare applicare il più conveniente possibile per i lavoratori che aderiscono all’anticipo del Tfs.

Cosa avviene oggi: tempi lunghi

Nel frattempo, ricordiamo, il trattamento di fine rapporto ai dipendenti pubblici continua ad essere erogato con tempi sempre più lunghi e pure a rate.

Dal 2014, la liquidazione del Tfs si realizza infatti non prima dei 12 mesi nel caso la cessazione del rapporto di lavoro si sia realizzata per raggiunti limiti di età, quindi a 67 anni; addirittura, dopo 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro in tutti gli altri casi, quindi se raggiunta con Quota 100, Ape oppure Opzione donna.

Alcuni mesi fa, la Corte Costituzionale, con la sentenza 159/2019, ha stabilito che non c’è alcuna discriminazione – rispetto ai dipendenti privati – nell’assegnare il trattamento di fine rapporto agli statali dopo 24 mesi dall’uscita dal lavoro, se si è optato per la pensione anticipata, e anche a rate, in tutti quei casi, frequenti, in cui l’importo superasse i 50 mila euro.

Alessandro Giuliani

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