Antonio Segni, Valeria Fedeli e lo stipendio dei docenti

Nel 1955 un settimanale ospitava un autorevole intervento: “Scrive un vecchio professore; della scuola ha qualche esperienza, come studente, insegnante, padre e infine ministro della Pubblica istruzione. È quest’ultima che conta meno: la scuola la si vede, com’è veramente, attraverso i propri alunni, i colleghi, i figli. E il vecchio professore, che da quando è nella scuola sente parlare sempre di crisi della scuola, non crede di scoprire nulla di nuovo”.

La lunga lettera prosegue con una disamina dello stato delle scuole e dell’insegnamento in Italia dalle elementari all’università e conclude affermando: “Non dico cosa nuova quando ripeto che, a parte tipi, programmi, edifici, sempre importanti e necessari, l’elemento fondamentale della scuola è l’insegnante, al quale è affidata così grave responsabilità. Grandi responsabilità e grandi doveri verso di essi hanno la società e lo Stato per la preparazione spirituale e professionale e per il trattamento giuridico ed economico, doveri che trovano limiti nelle possibilità”.

La firma è del sardo Antonio Segni, più volte Ministro, divenuto poi il quarto Presidente della Repubblica.

A distanza di 62 anni un altro vecchio professore, che ha vissuto la scuola come studente-lavoratore, come padre, come insegnante, come preside e infine come ispettore scolastico, ora nonno-pensionato, nel condividere il convincimento della gravosa e importante responsabilità degli insegnanti nella scuola, constata e si duole del perdurare dei “limiti delle possibilità” ogni qualvolta si affronta il problema del trattamento economico della categoria.

Questo si permette di segnalare rispettosamente alla ministra Fedeli, che ha anche un passato di sindacalista, oggi 6 marzo, in visita in una scuola media della Sardegna.

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