Categorie: Precari

Anzianità di servizio dei supplenti della scuola: nuove vittorie al Giudice del Lavoro

La Corte d’appello di Genova e il Tribunale di Alessandria hanno accolto il ricorso degli Avvocati Santi Delia e Michele Bonetti riconoscendo l’anzianità di servizio maturata da alcuni docenti precari della scuola.

La Corte d’appello, in particolare, ha usato parole assai forti per stigmatizzare la scelta del Miur di continuare a sfruttare “alla bisogna” i supplenti, salvo poi addebitare ad essi persino la circostanza che il loro lavoro sarebbe “qualitativamente” inferiore perchè solo i docenti di ruolo garantirebbero “apporti organizzativi e programmatici che derivano dalla continuità del rapporto”.

Come è noto, la contrattazione collettiva ha stabilito un trattamento economico differenziato per posizioni stipendiali acquisite in ragione dell’anzianità maturata nel tempo.

“Ciononostante il personale precario continua ad essere retribuito sulla base della fascia iniziale indipendentemente dalla durata del servizio continuativo prestato. Questa disparità di trattamento viene giustificata dal Miur sulla base del fatto che il personale precario non appartiene al ruolo del personale scolastico, ma è inserito in un diverso sistema di reclutamento in cui viene valorizzata l’anzianità di servizio acquisita ai fini dell’assunzione definitiva o dell’attribuzione d’incarichi di supplenza annuale e temporanea”.

Secondo il Tribunale, “la prospettazione della parte resistente non è conforme alla normativa comunitaria e, sotto questo profilo, la citata disposizione viola la clausola 4 punto 1 dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE che prevede il divieto di discriminazione dei lavoratori a termine rispetto ai dipendenti a tempo indeterminato comparabili”.

“Deve perciò essere riconosciuto il diritto alla progressione professionale retributiva con conseguente condanna del datore di lavoro alla corresponsione delle differenze retributive da calcolarsi sulla base dell’anzianità di servizio maturata in virtù dei contratti di lavoro stipulati in successione tra loro”.

Il Tribunale ha inoltre sospeso il Giudizio in attesa della sentenza della C.G.E. con riguardo alle altre domande da noi formulate.

Interessanti spunti vengono offerti anche dalla sentenza della Corte d’Appello di Genova. Secondo il giudice di II grado “la prima ragione in proposito addotta dal Ministero riguarda il fatto che, trattandosi di pubblici dipendenti, la selezione deve avvenire mediante concorso, laddove il personale a termine sarebbe assunto con modalità diverse”, è errata.

“Si tratta di motivo infondato in quanto non si vede quale nesso possa intercorrere tra le modalità di scelta del lavoratore ed il regime del suo trattamento economico. Il primo aspetto attiene alle modalità selettive ed il secondo alle modalità di lavoro che, essendo identica nell’una e nell’altro caso non giustifica trattamenti differenziati.

Aggiungiamo noi, inoltre, che è falso che nel mondo della scuola si venga assunti solo tramite concorso.

Ed infatti grazie al sistema del c.d. “doppio canale” l’ammissione in ruolo da parte dei docenti avviene, ogni anno, per il 50% dalle graduatorie del concorso pubblico (prima di quello del 2012 si attingeva dalla vecchia graduatoria del 1999) e per l’altro 50% proprio dalle GAE ove si ammessi esclusivamente sulla base dei propri titoli e senza concorso alcuno.

Anche i ricorrenti, d’altra parte, provengono proprio dalle G.A.E.

“Il fondamento degli scatti di anzianità va, infatti, precipuamente ravvisato nel miglior apporto lavorativo che deriva dall’esperienza del lavoratore, profilo cui è del tutto estranea ogni questione sulle modalità di selezione”.

La seconda ragione addotta dal “Ministero consiste nel fatto che la prestazione dei lavoratori a tempo indeterminato sarebbe qualitativamente superiore a quella dei lavoratori a tempo determinato perchè soltanto i primi potrebbero fornire gli apporti organizzativi e programmatici che derivano dalla continuità del rapporto”.

“La scelta di ricorrere al lavoratore a termine, quali che siano le motivazioni, non costituisce ragione oggettiva di discriminazione per il lavoratore, per l’elementare ragione che, se l’ordinamento ritiene di poter rinunciare ai contributi positivi derivanti dalla continuità ciò significa che essi non sono valutati come determinanti e dunque non possono neppure poi essere utilizzati, alla bisogna, per discriminare il prestatore d’opera a tempo determinato”.

Corte d’Appello Genova, 13 dicembre 2013, n. 663

Tribunale di Alessandria, G.D.L. Dott.ssa Lippi, 16 ottobre 2013, n. 297

 

Associazione Sindacale La Voce dei Giusti

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