C’è un passaggio cruciale nell’accordo tra Governo e sindacati sulla pensione anticipata (Ape) che rischia di rimanere inosservato, pur essendo fondamentale.
Riguarda il fatto che l’Ape agevolata, nella quale rientrano le maestre della scuola dell’infanzia, non sarà gratuita. Come, invece, sembrava dover essere all’inizio.
Perché l’anticipo di pensione a costo zero (riservata a delle categorie lavorative agevolate) potrà riguardare importi al massimo di 1.300-1.350 euro lordi, cioè tra mille e 1.100 euro netti. Per le quote eccedenti scatteranno invece delle penalizzazioni.
A quanto ammontino questi soldi, da dare allo Stato nel ventennio che parte dall’età “regolare” di pensionamento (quindi dai 67 anni), non è ancora chiaro. Perché in queste ore la Ragioneria generale dello Stato sta facendo i conti (sperando si tratti di cifre molto inferiori agli oltre 200 euro mensili che riguardano coloro, si presume pochi, che accederanno all’Ape volontariamente).
Una domandina sulla questione, in ogni caso, possiamo comunque porla: quali sono le maestre della scuola dell’infanzia che percepiscono uno stipendio mensile pari a 1.100 euro nette al mese, se le neo-assunte, ad inizio carriera, ne prendono circa 1.200 euro?
I sindacati sapevano bene che quell’importo doveva essere più alto. Per questo motivo, ancora a settembre, si erano attestati a 1.650 euro lordi. Il Governo, aveva fatto intendere che si sarebbe potuto chiudere a circa 1.500: una quota che, forse, avrebbe potuto garantire l’uscita anticipata a qualche maestra. Ora, invece, approvando il testo finale con l’importo massimo fissato a 1.350 euro lordi, forse anche 1.300 euro, abbiamo la matematica certezza che l’accesso all’Ape senza necessità di restituire nulla, riguarderà pochi intimi. Quasi nessuno tra le mastre dell’infanzia (quelle della primaria e i prof della secondaria erano stati fatti “fuori” in partenza), se non quelle in regime di part time (che però non sappiamo ancora se potranno aderire).
La domanda, è il caso di dire, viene spontanea: come si fa a dire che una categoria può accedere ad un beneficio – il pensionamento anticipato sino a 63 anno e mezzo di età anagrafica – dal momento che lo stipendio di quei lavoratori è superiore ai “paletti” messi su per farlo proprio? E ancora: per quale motivo, i sindacati non hanno fatto emergere questa contraddizione, soffermandosi solo sugli anni di contributi minimi, necessari per accedere all’Ape, o su altri aspetti?
Sindacati a parte, sarebbe comunque stato molto più corretto dire prima che, comunque, una cifra minima anche le maestre d’infanzia (come gli infermieri), avrebbero dovuto restituirla. Sperando, alla luce di quanto avvenuto, che sia davvero minima.
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