“Ritengo che un Paese che voglia definirsi civile debba fare di tutto per mandare a scuola i ragazzi“. Ha ragione Umberto Lago, docente universitario a Bologna e già assessore comunale a Vicenza. Ha ragione da vendere. Fare di tutto, pur sapendo bene i rischi e le criticità. Le quali ci sono in tutti gli spazi sociali, visti i tempi. Per cui, anche imparare a gestire questi rischi e tutte le conseguenti criticità è un modo per imparare a vivere.
E la scuola, prima dei compiti conoscitivi e culturali, è appunto palestra di vita, assieme alla famiglia. Una palestra secondo regole e una puntuale quotidiana riflessione sulle buone ragioni di queste regole. Ecco il motivo di quel “fare di tutto”. Poi, come sempre, è giusto che si ragioni, si discuta.
Poi però contano le decisioni, ma questo è il compito della politica. Se, con tutte le attenzioni del caso, si invoca giustamente la progressiva riapertura delle varie realtà socioeconomiche, è bene che si parta dalla scuola, luogo di formazione dell’etica del rischio personale e sociale.
Si sa, non sono scelte facili. Ma scelte che vanno prese, sapendo il grande lavoro fatto nelle scuole in termini di sicurezza, e consapevoli anche che, con la didattica a distanza, si sono nel frattempo imparate modalità nuove di fare scuola. Ma queste non bastano. Perché a scuola si impara anzitutto vivendo assieme, crescendo assieme, discutendo assieme. Anzi, l’etica del rischio (rischi come opportunità, si è soliti ripetere) è proprio un allenarsi alla complessità della vita.
C’è un modo, o un metodo, che possa aiutare tutti a cercare e trovare un punto di mediazione tra sicurezza e apertura? Non c’è una via immune da rischi, perché così è la vita. Non esiste, cioè, la sicurezza assoluta, come non c’è la certezza assoluta.
Dunque, non resta che la saggezza pratica dell’etica del rischio, cioè la sua sostenibilità a livello personale, famigliare, sociale.
Ora il tema è aprire, ma in sicurezza, con le regole che ben conosciamo.
Alcuni vorrebbero la garanzia del “rischio zero”, cosa di per sé impossibile, perché azzerare il rischio significa non vivere, non affrontare cioè gli imprevisti che la vita ogni giorno ci può preparare. Allora non resta che convivere con il rischio, nella speranza che i vaccini facciano in tempi brevi la loro parte.
L’etica del rischio ci dice, dunque, che bisogna imparare a convivere, a vigilare, a comprendere che il rischio è la vita stessa, la quale chiede solo di essere pensata non da soli, ma insieme. Perché il mio rischio è, che ci piaccia o no, anche il tuo rischio, anche il rischio di tutti. Ma questo rischio va insegnato e praticato, va cioè pensato come modo di dire la sostanza della vita. Senza maschere o scuse o paraventi.