Un velo di tristezza e un sorriso di amarezza.
Sono questi i malinconici sentimenti affiorati nell’animo quando ho avuto occasione di leggere, con interesse e approvazione (anche con malinconia), l’accorato appello (sottoscritto da intellettuali e riconosciuti competenti del settore) che “Manifesto Scuola”, stava promuovendo, sul finire di agosto, a tutti i docenti di buona volontà.
Come non condividere le sconfortanti constatazioni di studiosi e professori che, da trentanni ormai, assistono inerti e impotenti ad una lenta ma costante volontà, da parte del ‘potere, di ‘destrutturare’ una scuola di alta qualità, finalizzata alla elevata formazione culturale dei discenti ( cultura intesa in senso lato ), per ‘strutturare’ una scuola atta a fornire agli allievi grande e commovente assistenza, certo, ma, alla fine, una preparazione troppo generica e spesso superficiale?
Non che la Cultura, per ora, si svanita nel nulla nel nostro sistema scolastico. E’ ancora ben presente ( almeno in alcune realtà). Certo è che, anno dopo anno ( governo dopo governo ) si sta riducendo a favore di altri obiettivi ritenuti, evidentemente, più importanti per i cittadini del futuro.
Ma è la stessa natura della scuola che va cambiando. Non più una Istituzione volta ad una formazione civile e culturale, ma una struttura aziendalistica finalizzata a ‘costruire’ persone dotate di competenze lavorative ( professionali), soprattutto tecnocratiche . Oppure, in questa società liquida e fragile, la scuola viene interpretata come un grande Reparto medico (di taglio psicologico) pronto a venire in aiuto ai ragazzi ‘deboli’ ( e sono incredibilmente molti), ragazzi con (presunte) difficoltà di apprendimento e concentrazione.
Ed ecco materializzarsi nelle classi, come dal nulla, numeri consistenti di psicologi o pedagogisti, non di rado in contrasto tra loro, desiderosi di aiutare ( vogliamo immaginare con spirito di solidarietà e carità ) il ‘tradizionale’ docente, impreparato ad affrontare intrecciate e delicate ‘complicazioni’ dell’animo adolescenziale.
Meno nobilmente si arriva anche a concepire la scuola come luogo di ritrovo e socializzazione, dove tutto, in fondo, è facoltativo e la giusta differenza di ruoli tende saltare in nome di una innaturale convivenza e simulata amicizia che dovrebbero, secondo alcuni, portare tutti, senza troppa fatica, a una complessiva e significativa crescita e ad un maggior senso di responsabilità civile.
Così il docente, da prestigiosa figura professionale si trasforma in un semplice, mediatore o facilitatore nel percorso formativo dei ragazzi (una sorta di impiegato non troppo qualificato in questa scuola dai tratti sempre più tecnologici, psicologici e pedagogici e tesa a sminuire il valore insostituibile delle discipline, soprattutto di alcune).
Altre sono le ‘lamentazioni’ del Manifesto della Scuola, quali il nuovo modo di reclutamento dei docenti, che verterà meno sulla disciplina e più sulle capacità psicopedagogiche o didattico-metodologiche e sul nuovo ‘Codice di comportamento dei dipendenti pubblici’ dal ‘sapore’, secondo alcuni, assai restrittivo per quanto concerne le libertà del docente ( libertà fondate ‘anche’ sulla Costituzione).
Ho letto con interesse il documento, ma anche con una mesta disillusione.
In una scuola in trasformazione dove le intelligenze artificiali si espandono, nuovi metodi di insegnamento si affermano o si sperimentano ( gli alunni si spostano da una classe all’altra, le necessarie divisioni di ruolo ‘naufragano’, a volte sono gli stessi discenti a fare lezioni – una grande emozione – ai compagni e magari anche ai docenti) oppure si riprendono, si adattano e si ampliano ‘iter formativi del ‘900 (come sembra accadere per i tanto osannati metodi montessoriani).
Comunque l’istruzione e la formazione sono in fase di accelerato cambiamento e spesso le loro priorità sono dettate dal mercato ( l recente progetto di riforma degli Istituti tecnici sposta, secondo non pochi addetti ai lavori , il baricentro della formazione dalla scuola al mondo del mercato e del lavoro, riducendo così il ruolo dei docenti )
A questo punto tali appelli di ritorno alle ‘vere discipline’ sono grida nel deserto, almeno così temo, destinate a non essere ascoltate.
Non sarebbe la prima volta e non sarà l’ultima.
Quante volte, infatti, validi intellettuali hanno promosso campagne di sensibilizzazione perché la disciplina della Geografia ritornasse ad essere seriamente insegnata, anzi ritornasse ad esserci dopo che una ‘cattiva stella’ l’aveva sostanzialmente cancellata dalla scuola.
Eppure questi insistenti richiami all’importanza dello studio totale ed integrale del nostro pianeta, dove viviamo, ci muoviamo e ci rapportiamo (in modo spesso negativo ) non hanno avuto alcun esito positivo, meglio, non sono stati neppure presi in considerazione.
Siete sicuri, se chiedete ad un vostro alunno dove si trova una determinata città (magari anche europea), che riuscirà a trovarla, in poco tempo, sulla cartina geografica? Non ci scommetterei più di tanto.
Meno male che oggi i giovani hanno a disposizione il loro super potente cellulare (loro servo e loro padrone), altrimenti…
E’ veramente un peccato ( un peccato capitale), però, aver sotterrato la geografia. Al di là della sua innegabile e intrinseca importanza per conoscere noi stessi e il mondo in cui viviamo (e che roviniamo), sarebbe stata assai utile anche per portare avanti lo studio dell’educazione alla cittadinanza.
Con le sue innumerevoli articolazioni tematiche ne aveva tutte le possibilità.
Invece, il ‘potere’, ha preferito inventarsi una pseudo-materia, raccogliendo qualche manciata di ore dalle altre materie. Ha fatto un po’ di ‘taglia e incolla’ posticcio (un vestito formato da una serie di piccoli pezzi di eterogenei tessuti uniti con filo grosso) e non troppo valido né formativo (mi sia permesso, quasi un’arlecchinata). Ma non sembra, al momento, che ci siano le condizioni per poter tornare indietro e istituire (sarebbe naturale), se ritenuta necessaria , un’unica disciplina di ‘educazione alla cittadinanza’ affidata ad un unico docente.
Lo suggerirebbe anche ( a mio avviso ) il semplice ‘buon senso’.
Ma si sa, come rifletteva il Manzoni: ”Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune.”.
O no?
Ceriani Andrea
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