Personale

Appello a tutti i docenti: “Siate orgogliosi del vostro ruolo, comunicate agli altri la bellezza dell’insegnamento” Intervista alla ds Di Bartolo

Si è chiusa già da qualche giorno a Firenze Didacta Italia, una tra le manifestazioni più importanti sulla formazione e l’innovazione del mondo della scuola. Tra gli oltre 400 eventi – tra workshop e seminari di formazione – presentati quest’anno, riteniamo sia il caso di porre all’attenzione dei nostri lettori l’intervento di Antonella Di Bartolo, dirigente scolastica dell’I.C.S. Sperone-Pertini di Palermo. All’interno della rassegna “Fuori Classe”, organizzata dal Gruppo Spaggiari Parma, la preside palermitana ha presentato il suo libro “Domani c’è scuola”. Tuttavia non è di questo che vogliamo parlare, lo abbiamo già fatto in occasione della sua pubblicazione, ma di alcune considerazioni che Di Bartolo ha espresso durante il suo intervento, che suonano come una vera e propria dichiarazione d’amore verso una professione, quella docente – ma più in generale nei confronti di tutti coloro che operano in ambito educativo, dirigenti compresi, s’intende – che in questi tempi bui sembra avviata verso un inarrestabile decadimento a livello di riconoscimento sociale e non solo.

Antonella Di Bartolo, però, non ci sta e da Firenze lo dice chiaro e forte: “La scuola reale è fatta di perseveranza, di avanzamento faticoso ma necessario, frutto di un lavoro collettivo che genera forza, capacità e slancio, andando oltre le mura scolastiche per abbracciare l’intera comunità”. Per la preside palermitana i docenti devono essere orgogliosi del loro ruolo in una scuola che non si esaurisce nel tempo della lezione, ma che diventa parte integrante della vita degli studenti e delle loro famiglie.

Il corpo docente – continua la Preside – deve tornare ad essere motore di cambiamento, riscoprendo la passione e la centralità del proprio ruolo formativo per dare agli studenti gli strumenti necessari ad affrontare il futuro con consapevolezza e determinazione. Ma orgoglio e passione non vanno d’accordo con una logica da lavoro impiegatizio. No, secondo la dirigente della Pertini-Sperone l’educazione non può essere confinata all’orario scolastico o alle mura dell’istituto, ma deve essere un ponte tra scuola, territorio e società. Non si interrompe, dunque, con il suono della campanella che sancisce la fine delle lezioni, perché la scuola non può essere un’isola separata dalla comunità, ma un ambiente educativo più aperto e connesso con il tessuto sociale, in grado di favorire legami e generare cambiamento.

Preside, dal suo intervento sembrerebbe emergere una certa condivisione della vecchia e mai del tutto scomparsa idea che l’insegnamento debba essere una vocazione e l’insegnante un missionario. È cosi?

Non esattamente, provo a spiegarmi: chiunque dovrebbe cercare la propria vocazione nello studio, nella scelta della professione, nella vita in generale perché in questo modo anche i propri talenti possono essere valorizzati e la persona può fiorire ed esprimere il meglio di sé. Ma non ritengo affatto che l’insegnante debba lavorare con spirito di missionario. È un professionista qualificato, il cui lavoro deve essere giustamente riconosciuto, apprezzato e retribuito e a cui non si deve chiedere di operare con spirito missionario o di volontariato. I missionari e i volontari fanno altro, ed è bene non confondere i piani.

Com’è possibile insegnare con gioia, passione ed entusiasmo quando la professione docente sembra sempre di più in caduta libera dal punto di vista del riconoscimento sociale ?

Il riconoscimento sociale non si impone e non si chiede: lo si conquista. Nella grandissima maggioranza dei casi il valore degli insegnanti è riconosciuto dai singoli alunni e dai singoli genitori. Ma fatalmente le esperienze positive sembrano dissolversi quando si parla genericamente della categoria docente. Genericamente, appunto, dunque per stereotipi falsi e parziali. E questo non solo non va bene, ma forse è anche un po’ colpa degli stessi insegnanti, di quanto poco raccontano le meraviglie che compiono giornalmente. Anche per questo sono contenta di aver scritto alcune pagine in cui emerge il grandissimo lavoro che si fa a scuola, per contribuire a modificare il racconto che -ad oggi- non riconosce il giusto merito a una categoria di lavoratori straordinari, non solo utili ma indispensabili.

Durante il suo intervento a Firenze, lei ha affermato che “non possiamo distrarci da noi stessi”. Cosa intendeva esattamente?

Non dovremmo mai perdere di vista chi siamo, cosa ci ha portato a scegliere di insegnare, quanto è importante il nostro lavoro sia per i singoli alunni e le singole alunne, sia per la comunità. Lavoriamo nel presente ma siamo autentici costruttori di futuro. È qualcosa di potente, di cui sicuramente dobbiamo assumerci tutta la responsabilità ma al tempo coglierne la magia, la forza trasformativa. Ma tutto ciò è importante dirlo e dirselo, il più possibile, per ritrovarci, per condividere valori, impegno, sogni.

Gabriele Ferrante

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