“Il meglio di quello che c’è nel documento Renzi sulla scuola è nella linea di quanto già realizzato da Regione Lombardia, con la digitalizzazione della didattica, un sistema avanzato di formazione professionale e tecnica superiore, il forte avvicinamento tra scuola e lavoro, la valutazione dei sistemi e il riconoscimento del merito”.
La Lombardia ha già fatto quanto Renzi prospetta per l’intera nazione. Ha uno spontaneo moto di vanto di Valentina Aprea, assessore regionale all’Istruzione, Formazione e Lavoro, leggendo le corpose 136 pagine del documento.
E continua: “La prima valutazione non può che essere positiva, se ci si ferma ad alcune parole chiave che hanno caratterizzato finora le riforme Moratti, Gelmini e alcune mie leggi: merito, valutazione, carriera, governance, alternanza scuola-lavoro, formazione professionale.”
Insomma Renzi, come già sottolineato da Mariastella Gelmini, sta tentando di attuare una riforma già delineata dalla destra: “Renzi sdogana a sinistra l’opportunità di rafforzare questi elementi del sistema scolastico dopo lunghe stagioni di contrapposizione ideologica e di resistenza ad ogni cambiamento che comportasse un avvicinamento della nostra scuola ai migliori modelli europei e dei Paesi Ocse”.
Ma come si raccorda il piano Renzi con le competenze sulla scuola affidate alle Regioni? Su questo punto la Aprea è particolarmente critica: “E’ inammissibile che le Regioni non siano minimamente considerate nel documento del Governo, come se le loro competenze fossero cancellate dalla Costituzione. Non vi è nemmeno alcun raccordo con le risorse e le politiche regionali di diritto allo studio, di formazione, di lotta alla dispersione e di transizione dalla scuola al lavoro, che vengono cospicuamente finanziate con risorse regionali e dei Por regionali”.
Una grave lacuna, una grave dimenticanza, dinanzi alla quale i lombardi non staranno con le mani in mano: ” La Regione Lombardia non starà certo a guardare: stiamo già lavorando a una proposta innovativa di rilancio delle leggi regionali su istruzione e lavoro, che si innesterà sicuramente su questo focus nazionale sulla scuola”.
Non c’è inoltre molta coerenza nei benevoli discorsi su precari e qualità della scuola: “Un’analisi più attenta delle linee guida svela tuttavia un tradimento dei principi proclamati. Infatti, se è un problema aver utilizzato molti precari nella scuola, come il ricorso agli stessi per le supplenze, la priorità della scuola italiana sta nella qualità della docenza, nella sua formazione iniziale, così come l’aspetto anagrafico – l’età media del corpo docente italiano è di 51 anni -, che si riflettono nelle scarse competenze tecnologiche, linguistiche, nella scarsa capacità di innovare la didattica e nell’eccessiva distanza dalle attuali dinamiche del mondo del lavoro”.
La Aprea invita dunque a considerare la questione da un punto di vista qualitativo e non solo quantitativo e si mostra scettica sull’assunzione di 150mila docenti: “Se la questione docente è così complessa, non si può pensare di migliorare la scuola italiana partendo da un aspetto solo quantitativo, con l’assunzione di 150.000 docenti. Per altro se oggi non vi sono le coperture finanziarie per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici, non si capisce perché dovrebbero esserci per assumere 150.000 docenti, di cui la metà addirittura superiore al fabbisogno, tanto che non avrebbe nemmeno una cattedra di insegnamento”.
La contraddizione è sempre la solita, quella su cui cadde anche il centro-destra: si vuole migliorare senza stanziamenti. “Sullo stato giuridico e sui riconoscimenti delle competenze professionali – continua la Aprea – sospendiamo il giudizio in attesa della norma che recepirà il principio, anche se il Governo sembra in questo momento più interessato a fare cassa con l’abolizione degli scatti di anzianità che a prevedere un vero sistema di valutazione della professionalità docente”.
La soluzione? Se Renzi è interessato alla spending review, c’è un solo modo di procedere : introdurre costi standard nella scuola e il pluralismo educativo, con una concorrenza leale tra pubblico e privato di stampo europeo.
La scuola ai privati: ce lo chiede davvero l’Europa?