Aprire le scuole d’estate? Macché: meglio puntare sulle botteghe artigiane

Nelle nostre città e nei nostri paesi, il centro della vita cittadina è sempre stato caratterizzato dalle numerose botteghe artigiane che animavano la vita economica, sociale e culturale dei centri storici. Il nostro Paese per lungo tempo ha fatto scuola, ha dato ampia testimonianza di quella creatività, fermezza e perseveranza nel lavoro e nell’arte, di quella antica, fiorente  e  sapiente  cultura  del bello che ha avuto ed ha tuttora una forte attrattiva.

Purtroppo, oggi, a causa delle profonde trasformazioni avvenute nella nostra società, di questa cultura e di questa  storia  ci sentiamo poco  partecipi, assistiamo, in un mondo globale, plurale e frammentato,  indifferenti all’eclissi del senso del bello, all’offuscarsi della dimensione della manualità, di abilità,  di microstorie che fanno parte  della  nostra  storia e, direi, anche del nostro futuro.

Chi ha avuto la possibilità di percorrere negli anni passati in lungo e in largo, durante il periodo estivo, subito dopo la fine della scuola, le vie cittadine dei vari centri, può riandare con la memoria in un mondo laborioso, fatto di rinunce, eternamente serrato dalla povertà e dalla fatica, ma bello, giovane, vivo, gioioso, felice, impegnato in attività gratificanti e remunerative in termini di valori, autostima e ricchezza interiore.

Nelle varie botteghe (elettricista, meccanico, sarto, barbiere, tappezziere, falegname, fabbro, restauratore, intagliatore, tornitore, ceramista,  vetraio, bottegaio, ecc.) e nei vari angoli delle strade, un popolo di formichine,  con lo sguardo vispo pronto a rubare il mestiere, paghe inesistenti o irrisorie, senza riconoscimenti di alcun genere,  ma con  la garanzia dell’educazione alla manualità, all’impegno, al rispetto e ad una non marginale o secondaria  formazione umana, economica  e sociale, attento, osservava, apprendeva,  lavorava.

Il nostro Paese ha, dunque, svolto un ruolo di primaria importanza per la formazione di abili professionisti (alcuni sono anche diventati imprenditori di successo che hanno portato l’Italia nel mondo) della creatività, della manualità, del bello, un popolo piccolo che grazie alla serietà, all’impegno e al lavoro è diventato un popolo grande. 

Andar per botteghe da parte di un popolo minuto, di ragazzi che, finita la scuola, non aspettavano altro per guadagnare pochi soldi ed iniziare a sentirsi grandi,  costituiva, fino a qualche decennio fa,  una normale e buona consuetudine.

Molti giovani studenti ancora bambini, già a partire dall’ultimo anno della scuola elementare,  popolavano le botteghe  artigiane ed era una occasione importante per assicurarsi una modesta  paga settimanale da consegnare ai genitori o mettere da parte per contribuire alle spese per l’acquisto di libri, bici, motorini, capi di abbigliamento  da mostrare orgogliosi a scuola.

L’estate per molti ragazzi era, dunque, una importante opportunità di crescita, un modo per iniziare ad affrontare con la freschezza della gioventù i primi problemi della vita. Generalmente, si iniziava la mattina presto   e si seguivano i consigli di mani esperte che spiegavano i segreti di arti antiche che si tramandavano di generazione in generazione. Questi giovani costituivano la forza  ideale per mantenere viva una tradizione, un mestiere che per il maestro  era fonte  di un relativo benessere economico e per il garzone  una vera e propria  palestra di vita.

Si lavorava con gioia senza sentire il peso della stanchezza e della costrizione. Tutti lo facevano, eccetto i figli di papà che si godevano periodi di relax e, i più ricchi, qualche vacanza da sogno. La maggior parte apparteneva a questo  piccolo e  laborioso  popolo di apprendisti, di garzoni di bottega  che,  in una società a vocazione agricola ed artigianale prima e industriale dopo, costituiva una comunità responsabile, ricca di ideali,  di esperienze  uniche e significative  per la  formazione del carattere, per  maturare il senso del dovere, per  dare colore al lavoro e crescere nella consapevolezza delle proprie capacità, della propria creatività e del proprio valore.

Andar  per botteghe per apprendere un mestiere era un modo sano e naturale per attuare percorsi educativi e di crescita finalizzati allo sviluppo del senso civico, alla collaborazione, all’integrazione sociale e alla gratificazione individuale. Ricordi preziosi della vivacità di luoghi misteriosi condannati,  da un mondo che genera l’ illusione dell’attesa, all’oblio.

Il valore di queste esperienze costituiva, pertanto,  una prospettiva, uno strumento educativo  di fondamentale importanza, che aiutava i ragazzi  a muoversi in uno spazio esperienziale concreto  in cui, ciascuno, poteva vedere riconosciuto il proprio ruolo sociale.  Nella conformazione estremamente piacevole e varia di questi antichi  mestieri,  si rivela   un itinerario intrecciato di esperienze vive e feconde che guidano e orientano verso  la responsabilità, una responsabilità che si manifestava, soprattutto, in uno  stile  vita pulito, fresco, carico di emozioni e  nella passione per un mondo trasparente, credibile, generoso, attivo, laborioso.

Davanti a carenze educative che non aiutano i giovani a trovare soddisfazioni nella vita sociale, lavorativa, affettiva e relazionale, basti pensare ai tanti drammi che si consumano durante il periodo estivo,  favorire il lavoro nelle botteghe artigiane potrebbe costituire un valido strumento educativo per  canalizzare ed orientare fresche energie giovanili verso esperienze lavorative dove ciò che si cerca bisogna ottenerlo non in ambienti e con mezzi che generano illusioni, ma con  l’impegno, lo sforzo, la fatica e anche la frustrazione.

Per non avere più ragazzi in perenne attesa, impazienti, insicuri, dipendenti e prigionieri delle facili illusioni, gettati senza alcun paracadute nel mondo, occorre, a livello politico, sottoscrivere, quanto prima, protocolli d’intesa per aprire durante il periodo estivo le porte non della scuola, ma del lavoro.

Riscoprire  la bellezza non di restare svegli fino all’alba, ma di svegliarsi all’alba per andare a lavorare, significa liberarsi da godimenti e piaceri  effimeri, mettersi alla ricerca  di potenzialità nascoste per dare a se stessi autentiche  ragioni di vita e di speranza.

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