Aprire per chiudere

Sembrerebbe una bella idea quella del Ministro della Pubblica Istruzione il quale, insieme ad altri esponenti di partiti politici, va proponendo che le scuole restino aperte dalle 8 alle 20 (o 22?). Un’idea che nasce dalla convinzione che i bambini e i ragazzi meno stanno a casa e meglio è. Ma non solo.

Il Ministro, dopo aver chiarito se si riferisce a tutti gli ordini di scuola, dall’infanzia alla scuola secondaria di I e II grado, dovrà concretizzare la sua proposta prima di tutto con l’arruolare un esercito di bidelli che, le scuole, le controllano, le aprono e le chiudono, le puliscono, sorvegliano chi le frequenta, affiancano gli insegnanti con mansioni pratiche.

Poi, lo Stato dovrà finanziare i Comuni obbligati a fornire riscaldamento, luce, trasporti anche in orario serale, mense e un po’ di fresco d’estate.

E quanto costerà riaprire al sabato le tante scuole che hanno adottato la settimana corta perché i Comuni devono risparmiare? Oppure riscaldare e illuminare le scuole di montagna e di collina dove, nei lunghi inverni, il freddo e il buio sono in agguato fin dal primo pomeriggio?

Saranno rese vivibili le scuole del Sud dove, nelle lunghe estati, il caldo imperversa nelle aule in modo insopportabile e non paragonabile a quello degli altri Paesi europei additati ad esempio per questa riforma epocale la quale, però, non fa i conti con la geografia del nostro Paese?

A meno che non si punti a chiuderle tutte, quelle scuole che non ce la fanno a restare aperte, e a trasferire gli alunni nelle grandi scuole delle città o dei grossi centri le cui aule possono ospitarne trenta e oltre.

Così si risolverebbero, in un colpo solo, tanti problemi. Dalla riduzione del personale che sarebbe una conseguenza automatica e incruenta della soppressione di scuole, all’esistenza dei piccoli Comuni messa a dura prova perché, senza scuole, sono destinati a diventare, alla lunga, sempre più poveri e inospitali. Che la scuola produca ricchezza vera e PIL, anche se in modo silenzioso, e sia un’azienda in piena regola con i suoi numerosi fornitori di beni e servizi è uno dei tanti segreti dell’economia nazionale. Al contrario, negli altri Paesi europei, c’è ben altra consapevolezza del fatto che più aumenta l’istruzione più cresce il PIL. Questo, chissà perché, è un aspetto che non viene preso a esempio.

Inoltre, gli edifici scolastici, aperti da mane a sera, dovrebbero essere resi più sicuri dai previsti interventi di edilizia, ma anche oggetto di una manutenzione costante e accurata e, infine, dulcis in fundo, forniti di tutto il necessario in arredi e strumenti didattici se si vuole che le attività che vi si svolgeranno abbiano un minimo di qualità e di senso.

Perché se le scuole, al pari del personale che vi lavora, non saranno svecchiate con un’operazione di restyling da cima a fondo vuol dire che si riconosce agli insegnanti la capacità di rendere produttiva quella lunga permanenza nell’ambiente scolastico con la sola arma della parola.

A meno che, equiparando a un lavoro impiegatizio un lavoro intellettuale, fatto di studio e di pensiero che hanno tempi difficilmente misurabili ma i cui esiti, quelli sì misurabili, sono direttamente proporzionali proprio a quei tempi, non si punti a fare degli insegnanti dei sorveglianti a buon mercato di generazioni che meno sono istruite e più, all’apparenza, sono mansuete, adattabili e adatte a un mercato del lavoro di serie zeta.

La proposta di raddoppiare l’orario di lavoro è una conferma di questa previsione.

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