Archeologia della “Buona scuola”: una testimonianza storica

Alcune volte le indagini retrospettive possono riuscire utili per capire fenomeni e dinamiche che sembrano presentarsi come innovative. E’ necessario, in questi casi, recuperare la memoria storica ed avvalersi di eventuali testimonianze. In tal senso ritengo doverosa una mia partecipazione al dibattito di questi giorni. Quale è, dunque, la matrice da cui discende la tentata Riforma renziana, quale cultura la ispira e/o la sorregge? Ebbene, la risposta è rintracciabile nella rilettura di antichi documenti rivelatori. Mi riferisco al cosiddetto Rapporto Oliva della Confindustria diffuso negli anni ‘90 che valse ad attivare un ampio dibattito nel Paese. Rapporto che riecheggiava e diffondeva i primi studi dell’OCSE sulla situazione dell’istruzione-formazione a livello mondiale ed in chiave comparativa (vedasi la ricerca “Education at a Glance > Indicatori Ines). Ebbene, proprio questo è, dunque, il peccato d’origine, posto che un peccato ci sia. Ebbi personalmente modo di studiare a fondo quel Rapporto perché all’epoca era ritenuto funzionale alla causa comune che da qualche anno parecchi di noi, Capi di istituto, sostenevamo per rivendicare ed ottenere l’Autonomia scolastica, concepita come premessa per una gestione funzionale ed efficace delle nostre scuole.
L’ANDIS, della quale ero Presidente Nazionale, combatté quella battaglia in prima linea, fornendo – anche e non solo per mia mano – un valido contributo alla lotta comune che fu poi finalmente vinta mediante ricerche, studi e riflessioni raccolte anche in un volume diffuso, prima di tutti gli altri, in migliaia di copie e distribuito a tutte le forze politiche e culturali del Paese (si recuperi e si legga la nostra “Proposta Organica” che già tracciava le linee complessive di una riforma sostanziale degli assetti istituzionali).
Una delle condizioni da noi posta come irrinunziabile era il conferimento della qualifica dirigenziale ai Capi di Istituto per metterli in condizione di governare flessibilmente un’organizzazione complessa, quale la scuola, che doveva attualizzarsi ed aprirsi necessariamente al sociale. Erano gli anni dell’immediato dopo Maastricht in cui impazzava in tutta Europa la teoria della sussidiarietà contro il burocratismo ed il centralismo statuale, in favore di un’amministrazione che si voleva più attenta al territorio, ai cittadini ed ai loro bisogni reali, per una governance da spendere in una logica di servizio. Già allora si delineavano, tuttavia, alcuni diversi “orientamenti” fra le forze associative e culturali che patrocinavano tale causa. Per ciò che riguardava i Dirigenti, noi dell’ANDIS eravamo maggiormente inclini e sensibili ad interpretare il mandato in chiave sociale. L’altra parallela Organizzazione storica, l’ANP, si mostrava invece più sensibile al richiamo pragmatico ed efficientista. Al punto da strutturarsi come vero e proprio Sindacato di categoria, così inimicandosi il fronte sindacale, naturalmente più propenso a sposare la causa dei grandi numeri e quindi la tutela dei docenti, ostili all’eventuale politica di rafforzamento del ruolo dei dirigenti che falsamente venivano vissuti come “la controparte”. Insomma, si andavano già allora rivelando, sul più generale scenario, le due distinte anime che hanno poi alimentato anche la parallela politica riformistica in Europa: quella “sociale” e quella “efficientista”; quest’ultima, enfaticamente sorretta da una cultura strumentale e pragmatica di stampo economicista, meritocratica, competitiva. Dopo svariate tornate elettorali e Congressuali, la mia Organizzazione scelse e mi diede mandato di operare solo come Associazione Professionale non sindacalizzata per avere anche l’appoggio di tutti i Sindacati-scuola, in modo che correggessero il loro tiro ostile e ci affiancassero nella difficile lotta. L’ANP proseguì invece per la sua strada oltranzista, sviluppando la sua lotta parallela.
La vittoria finalmente giunse dopo anni di Conferenze, Convegni, lotte ed alleanze con varie compagini politiche mediante la promulgazione della L.59/97 (art-21), la cosiddetta Bassanini 1, che concesse l’Autonomia Scolastica a tutte le scuole di ogni ordine e grado e che, mediante contestuale decretazione derivata (D.Lgs. 59/98), conferì la qualifica dirigenziale ai Capi di Istituto.
Ora l’Autonomia ha assunto il rango di norma primaria perché recepita nella Legge Costituzionale 3/2001. All’approvazione della legge 59/97, ritenendo di aver onorato per un intero e faticoso settennato il mandato conferitogli, chi scrive decise di dimissionarsi (ma avendo alle spalle già 35 anni di servizio) per dedicarsi a studi e ad attività privata. L’Associazione ANDIS restò nelle mani fidate dei suoi collaboratori delle prima ora… La medesima scelta non fu fatta dall’ANP che resta ancora oggi governata dal vecchio Presidente e non pare nemmeno che la Confindustria si sia in questi anni dissolta, mentre non è cambiata la posizione della mia ex Associazione ANDIS, esclusivamente attenta alla convegnistica professionale (per quel pochissimo che mi è dato di sapere). Anzi, la deriva pragmatica, meritocratica e falsamente efficientista che è propria della Confindustria e dei suoi autoritari “cortigiani”, domina i nostri tempi malati e sempre più sordi alle istanze sociali. A questo punto ed alla luce della testimonianza da me resa – e riscontrabile presso gli stessi protagonisti di quelle remote vicende – penso di aver individuato gli artefici e le origini della conversione/illuminazione del nostro presidente del Consiglio, ancora completamente all’oscuro, per fatto anagrafico, delle dinamiche e delle istanze che portarono all’approvazione della Legge sull’Autonomia. Voi no? Un ultimo appunto si impone però a chiusura del discorso. Si sono resi conto i nostri governanti, che cianciano di “Autonomia”, che la politica perpetrata in questi anni a danno delle nostre scuole ha vanificato perfino questa riforma ? Come può un dirigente scolastico governare oggi una miriade di scuole anche decentrate per effetto di un dimensionamento feroce attuato per le solite “prevalenti” ragioni economiche ? Che altro può fare, se non limitarsi ad apporre delle firme frettolose su atti di vario tipo? Come può svolgere un eventuale opera di sostegno relazionale o di indirizzo pedagogico presso insegnanti che riesce a malapena a conoscere ? La trasformazione subita non è quella che auspicavamo ed intendevamo promuovere. Un bel passaggio: da burocrate a manager d’un supermercato, in ossequio a quella mentalità commerciale che rischia di assimilare sempre più la scuola ad un’azienda; e perciò lontana da ogni sua originaria vocazione pedagogica.

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