Lunedì 2 luglio arriva la 14esima per 3 milioni e mezzo di pensionati: ad averne diritto sono tutti coloro che hanno compiuto 64 anni di età e che hanno un reddito lordo mensile che non superi i 1.000 euro. Un aiuto economico che ai dipendenti della scuola, docenti e Ata, non è stato mai corrisposto, sebbene ne avessero bisogno.
Ai pensionati verrà “erogata in automatico dall’Inps, ma nel caso in cui l’Ente non dovesse conoscere la condizione reddituale del beneficiario è necessario farne richiesta”, ha ricordato lo Spi-Cgil.
“L’importo medio degli assegni – prosegue il sindacato dei pensionati – sarà di 500 euro con valori che vanno da un minimo di 336 euro ad un massimo di 655,20 euro a seconda dei contributi versati”.
A beneficiare dell’assegno saranno più donne che uomini, considerato che mediamente hanno redditi da pensione più bassi principalmente a causa di carriere lavorative discontinue e frammentate.
Le regioni dove arriverà il più alto numero di 14esime saranno la Lombardia (470mila), la Sicilia (327mila), la Campania (313mila) e il Veneto (300mila).
“La quattordicesima per i pensionati – ha detto qualche giorno fa il segretario generale dello Spi-Cgil Ivan Pedretti – nasce da un accordo tra Sindacati e governo nel 2007 ed è stata ulteriormente rafforzata ed estesa con l’intesa sottoscritta nel 2016. Lo scorso anno infatti 2 milioni di pensionati l’hanno ricevuta maggiorata del 30% e oltre un milione l’ha avuta per la prima volta. È uno strumento importantissimo che porta un po’ di risorse in più nelle tasche dei pensionati con redditi medio-bassi. Guai a toccarla o a rimetterci le mani come invece sentiamo dire in questi giorni. Sarebbe un danno incalcolabile verso persone che hanno lavorato una vita”.
Anche Maurizio Martina, segretario reggente del Partito democratico ne parla su facebook: “oltre 3 milioni e mezzo di pensionati riceveranno la quattordicesima. Parliamo di persone con una pensione sotto i mille euro, che avranno un ulteriore sostegno subito. Sono orgoglioso di questa scelta dei governi PD”.
“Si chiama equità, una scelta utile, una decisione giusta. Mentre chi è oggi al governo dopo 100 giorni continua in una campagna elettorale permanente sulla pelle degli italiani, noi dobbiamo lavorare ancora di più a favore di politiche sociali giuste. E rafforzarle. Dal Reddito di Inclusione all’assegno universale per le famiglie, al salario minimo legale”, conclude Martina.
I lavoratori della scuola, invece, non hanno mai avuto modo di percepire la 14esima. Eppure, sarebbe un provvedimento graditissimo. E necessario. Perché gli aumenti corrisposti una decina di giorni fa, in media 40 – 50 euro netti al mese, rappresentano poco più di un “contentino”.
Lo stipendio base di un collaboratore scolastico, ma anche di un assistente amministrativo e tecnico, continua ad essere appena superiore ai mille euro netti. Quello degli insegnanti si attesta sui 1.300 euro.
Nel tempo, inoltre, gli incrementi non sono quelli degli altri Paesi del nostro Continente: Grecia e Spagna a parte, a fine carriera un docente che opera in Europa arriva mediamente a percepire tra i 5mila e i 9mila euro in più l’anno.
Un incremento, indubbiamente, è giunto durante il Governo Renzi, con gli 80 euro mensili, assegnati a tutti i dipendenti con buste paga inferiori a circa 26mila euro. Una parte dei docenti e Ata, quelli ad inizio carriera e i supplenti, si sono così ritrovati l’incremento di quasi mille euro annui.
Per gli altri, invece, non è rimasto che attingere dal Fondo d’istituto o del bonus merito, dai quali però quasi sempre giungono cifre di poche centinaia di euro lordi annui: tranne i vicari e una parte delle cosiddette funzioni strumentali o particolarmente impegnative, agli altri vengono assegnate cifre davvero ridotte. Cifre che per molti lavoratori della scuola risultano così esigue da arrivare con difficoltà a fine mese, soprattutto per quelle famiglie che possono contare solo su quello stipendio.
Ecco, allora, che assegnare uno stipendio un più l’anno, o giù di lì, sarebbe un’operazione davvero bene accetta. Certo, stiamo parlando quasi di un’utopia. Si tratterebbe di un’operazione costosissima.
Facciamo due conti: se lo Stato dovesse corrispondere 1.500 euro in media ad ogni dipendente della scuola, considerando circa un milione tra docenti e Ata, servirebbe un miliardo e mezzo di euro. Una cifra improponibile. Ancora di più, perché poi a rivendicare lo stesso accredito sarebbero anche gli altri dipendenti pubblici con stipendi simili.
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