E’ in fase di avvio al Miur la formazione dei 120 docenti selezionati in tutta Italia per costituire le cosiddette “équipe formative territoriali”, che costituiranno un punto di riferimento per le scuole del territorio nazionale, occupandosi “di promuovere la diffusione di nuove metodologie didattiche, la creazione di ambienti di apprendimento innovativi nelle scuole, la formazione degli insegnanti, la rilevazione delle migliori pratiche già presenti nel Paese” (Rif. Miur) nell’ambito del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD).
I docenti individuati sulla base di titoli e colloquio – spiegava l’ex Ministro Bussetti – “saranno esperti a disposizione delle scuole e degli altri insegnanti. Grazie all’esonero potranno dedicarsi infatti a tempo pieno a questa attività formando una vera e propria task force che potrà contribuire a rilanciare e portare avanti le azioni sul tema del digitale”.
Ma vediamo quali sono i principi che hanno ispirato la costituzione delle équipe, accolti anche dal nuovo Ministero Fioramonti a cui nel frattempo è passato il testimone da portare al traguardo.
All’art.1 comma 56 della L 107/2015, il Miur adotta il PNSD e, secondo il comma 57, le scuole sono tenute a inserire nel PTOF azioni coerenti con le finalità del Piano, esplicitate al comma 58. Essenzialmente, al centro della nuova visione della “Buona Scuola” sono l’innovazione metodologica e l’educazione digitale. Il PNSD ne costituisce il pilastro fondante e unitario.
Infatti, senza una riflessione epistemologica su quello che l’insegnamento può e deve fare per sostenere e migliorare l’apprendimento e affinare le competenze degli allievi, il discorso sulle tecnologie rischia di rimanere sterile.
Nell’ultimo trentennio, in Italia, come nel mondo, si è registrata una proliferazione esponenziale delle esperienze didattiche digitali: dal PPASE (Piano Pluriennale di Aggiornamento Scuola Elementare) alle aule 3.0; dal PNI nel liceo scientifico alle scuole 2.0; dai corsi ForTic per i docenti a quelli sull’uso della LIM, delle piattaforme e-learning ecc., eppure l’attuale situazione della scuola italiana per quello che riguarda l’innovazione tecnologica può essere appena definita come di “avvenuto decollo”.
La risposta ai mille interrogativi sul mancato “volo ad alta quota e con pilota automatico” della didattica digitale non è semplice, perché i parametri che entrano in gioco sono numerosi e talvolta aleatori. L’attribuzione della colpa alla tradizionale idiosincrasia della scuola italiana verso gli approcci empirici all’educazione, prima ancora che verso la tecnologia stessa, lascia piuttosto perplessi, mentre appare evidente che spesso nella complessa alchimia di componenti si è abusato dell’ingrediente tecnologico, trascurando quello metodologico.
Tecnologia e metodologia devono costituire infatti, e in sincronia, i due motori dell’innovazione didattica.
La trasmissione delle cultura tecnologica fine a se stessa e non curvata ad una razionalizzazione dei processi di apprendimento non può produrre innovazione. Pensare che la semplice diffusione degli strumenti digitali nella scuola potesse magicamente catalizzare il cambiamento, anche sotto l’aspetto dei contenuti disciplinari e dell’organizzazione didattica, è stato piuttosto ingenuo. Neppure il passaggio dal computer-calcolatore, usato per lo più in ambito scientifico/economico, al computer-elettrodomestico, la cui interfaccia è amichevole anche con anziani e bambini, ha segnato il cambiamento; anzi, la rapida obsolescenza delle tecnologie ha spesso impedito alle scuole di tenere il passo con l’evoluzione digitale, rendendo vani i sacrifici di ore di auto-formazione da parte dei primi docenti pionieri.
Al contrario, la logica delle tecnologie come mezzo e non come fine, può indirizzare a operare scelte didattiche la cui valenza formativa possa mantenersi stabile nel tempo, al di là della rapida evoluzione degli strumenti digitali.
Le tecnologie costituiscono dunque un’opportunità solo se sfruttate a beneficio del lavoro didattico e rese funzionali al suo miglioramento. Sono i processi didattici basati sulla tecnologia, ovvero le nuove metodologie, che possono generare motivazione all’innovazione e spingere a un reale cambiamento che, partendo dalla scuola e passando attraverso le famiglie, si estenda in maniera tangibile e generi una società digitale consapevole e competente.
In definitiva, tecnologia e metodologia saranno le due anime del lavoro di team delle équipe formative territoriali, che sarebbe riduttivo definire “squadre di esperti”, perché di altri esperti, o presunti tali, la scuola italiana non ha bisogno, ma sono gruppi di docenti che hanno deciso di prendere posizione rispetto al cambiamento, che può e deve avvenire, anche se non sempre è gradito, in quanto mette in discussione metodi di insegnamento spesso radicati seppur inefficaci.
Il Ministero dovrà ora definire nel dettaglio i compiti di queste nuove figure di sistema, la cui posizione sembra strategica per l’attuazione del PNSD e deve essere vista da docenti e dirigenti come una grande risorsa per tutte le scuole del territorio.
Daniela Averna
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