Dai numeri ai giudizi ai numeri alla lettere, «ma non è un esotismo», assicurano dal Miur, è una riforma innovativa. In pratica, dal 2017 i numeri, con cui si sono giudicati gli alunni dal 2009 e che sostituirono i giudizi, saranno sostituiti dalla lettere dell’alfabeto più «eque e meno limitanti». E allora ecco A-B-C-D-E, cinque gradi di giudizio per valutare gli studenti e assegnare loro un punteggio qualitativo dopo aver constatato se hanno o meno raggiunto gli obiettivi fissati dal ciclo di studi.
Un disegno di legge delega che il governo sta preparando sulla base delle indicazioni contenute nella legge 107, la riforma della scuola varata a luglio dello scorso anno, cambierà la tipologia di giudizio anche se il “prodotto” non cambia.
E dire che la ex ministra dell’istruzione, Mariastella Gelmini, quando impose il passaggio ai numeri dai giudizi alla media e alle elementari, sostenne che era stato fatto per rendere più leggibile e immediato ai genitori il giudizio della scuola nei confronti dei figli.
Sembra dunque che questo nuovo metro di giudizio affidato alle lettere dovrebbe essere approvato entro l’estate, per entrare in vigore dal prossimo anno scolastico, 2017-2018. Si vorrebbe dunque limitare le ansie della corsa al voto: «Così restituiamo alla scuola primaria il compito di mettere bambine e bambini agli stessi nastri di partenza- spiega la senatrice Francesca Puglisi, che sta seguendo l’iter – Misurare con un numero la gioia di apprendere di un bambino è come misurare il cielo con un righello».
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Scompare quindi la media dei voti: «Ed è proprio questo che deve cambiare- spiegano gli esperti – la valutazione in lettere esprime il concetto di evoluzione delle competenze e delle conoscenze, mentre il voto fotografa in maniera statica una situazione». Un esempio? Se uno studente, dopo un inizio complicato, si mette sotto a studiare e negli ultimi compiti prende sempre A, meriterà una A finale, che testimonia il punto di arrivo conquistato. Nel caso del voto numerico, i «5» o i «4» presi nei compiti iniziali non potrebbero invece essere cancellati ma diventerebbero parte della media, anche se alla fine dell’anno lo studente ha meritato tutti 8. «È come se non ci si potesse più sottrarre da quell’insuccesso», spiegano ancora fonti ministeriali. Beccarsi una E o una D, invece che un’umiliazione, dovrebbe essere sentito come un monito: il ragazzo o la ragazza dimostrano di non aver raggiunto o di aver solo parzialmente raggiunto i livelli di apprendimento previsti per quella classe, e quindi devono impegnarsi di più.
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