Si è aperta a Vicenza una mostra che focalizza lo sguardo sul periodo culturale e artistico degli anni Sessanta e Settanta in Italia. “Pop/Beat – Italia 1960-1979. Liberi di sognare” rimarrà aperta fino al 30 giugno 2024.
Nella cornice della Basilica Palladiana, la mostra propone una selezione di oltre cento opere di trentacinque artisti, video, documenti, musica, testimonianze dei più importanti interpreti italiani della Pop Art e della Beat Generation.
Tutte le informazioni sul sito https://www.mostrapopbeat.it/.
Nella sezione “Educational” si possono trovare le proposte didattiche rivolte alle scuole di ogni ordine e grado.
Il contesto storico
L’inizio degli anni Sessanta segna la stagione del boom economico, un benessere prima inimmaginabile, che investe tutti gli aspetti della vita sociale, culturale, artistica. Una fase storica dinamica ed elettrizzante, di espansione, di partecipazione e di ottimismo.
La “Beat generation” è un movimento giovanile nato negli Usa già negli anni Cinquanta, con un forte spirito di ribellione verso i valori tradizionali della società, nel quale confluirono altre istanze dal pacifismo al femminismo. Quel messaggio libertario si diffonde rapidamente in Italia con connotazioni politiche di antimperialismo e di attenzione al sottoproletariato.
Anche la Pop Art nasce negli Stati Uniti intorno al 1960. Ha a che fare con la nuova società di massa, le sue manifestazioni, i suoi oggetti di uso comune, le immagini tratte dall’attualità, dai fumetti, dalla pubblicità. L’artista più conosciuto nel mondo è senz’altro Andy Warhol.
Ma anche Robert Rauschenberg, che nel 1964 ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale d’Arte di Venezia, ha avuto notevole influenza. Considerato esponente del neo dadaismo, è ricordato specialmente per i suoi “Combine-paintings”, che combinano appunto elementi diversi, tra cui cartone, legno, tessuto, lamiere, vetro, specchi, barattoli, fili elettrici, componenti di elettrodomestici, per far riflettere sulle forme della realtà e sull’estetica del quotidiano. Una sperimentazione che vediamo anche nelle opere degli artisti esposti a Vicenza, ognuno col suo stile.
“Liberi di sognare”, le specificità in Italia
Il clima effervescente di quegli anni metteva in primo piano la libertà, di vivere, di sognare, di creare. Il 1960 è l’anno del film La dolce vita di Fellini, che segna simbolicamente il momento di svolta radicale dopo l’incubo della guerra, della fame, delle distruzioni.La mostra vicentina “Liberi di sognare” offre una lettura della Pop Art e della Beat Generation in Italia, mettendo in luce le specificità e l’autonomia degli artisti nazionali rispetto a quelli americani. Non sono pochi, ad esempio, i riferimenti che si possono cogliere rispetto al Futurismo, la prima avanguardia storica del Novecento.
Quanto alla letteratura beat, gli autori che troviamo nell’esposizione erano interpreti dei mutamenti e delle istanze che partivano dalle piazze, dalle università e dalle fabbriche. Milano, Roma, Torino, Bologna, Firenze e Napoli erano i centri propulsivi. Molto anticonformista e unica nel panorama nazionale appare l’esperienza di “Antigruppo siciliano”, che si pone in contrasto con gli intellettuali della “sinistra imborghesita”, considerati ormai lontani dal popolo e inclini all’autocelebrazione nei “salotti dorati del capitalismo”, quali erano considerate le famose case editrici Einaudi, Feltrinelli, Bompiani. L’avanguardia siciliana continuerà a stampare libri autoprodotti, rifiuterà qualsiasi contatto con il Nord Italia, sostenendo che il “ruolo sociale del poeta” deve esplicarsi sul territorio. “Guai a chi vuol essere padrone” è lo slogan.
Ma, sul finire degli anni Settanta, arriva la fine del sogno e si riduce anche la prospettiva della libertà assoluta e creativa. La diffusione delle droghe pesanti prende piede tra i giovani, mentre il clima politico è diventato cupo e teso. Sono gli “anni di piombo” che culminano con l’omicidio Moro del 1978.
Le opere più spettacolari, i materiali
Tra le oltre cento opere in esposizione alcune spiccano per le dimensioni o l’aspetto scenografico, altre sono di interesse per i collegamenti con precedenti avanguardie, altre per l’impiego dei materiali più vari: metalli, legno, cristallo, ceramica, specchio, acrilico, smalto, spray, collage creativi.
Tra le opere di maggiore impatto visivo spiccano: la “Giraffa artificiale”, in metacrilato verde, simbolo della mostra, e la “Natura modulare”, entrambe di Gino Marotta; i “Segnali stradali regolamentari” di Tino Stefanoni, che di regolamentare hanno solo la forma e il materiale, mentre le immagini sono oggetti-icona tipici della Pop Art o figure di non senso, con intento da un lato ironico dall’altro concettuale, in quanto l’elemento visivo ha sostituito la parola; il “Grande cubo” di Lucio Del Pezzo in legno rosso con disegni geometrici tipici del lessico di questo autore, che ha saputo sintetizzare in modo originale gli influssi di diverse correnti.