Accade a Milano: in uno stabile di via Anfossi, al piano terreno, funzionano un asilo nido e una scuola dell’infanzia gestiti da un ente privato.
I condòmini si lamentano del fatto che i canti e le musiche provenienti dalla scuola disturbano la loro quiete, si rivolgono al giudice che dà loro ragione ordina la chiusura dell’attività.
Un breve stralcio della sentenza viene riportato dal Corriere.it: “Essendo l’asilo una scuola ove si pratica notoriamente anche musica e canto oltre ad attività didattiche che, per l’affollamento dell’utenza, comportano quelle condizioni di rumorosità che la norma regolamentare (del condominio, ndr) ha inteso del tutto inequivocabilmente vietare”.
Non ci permettiamo certamente di entrare nel merito della vicenda giudiziaria perchè non disponiamo di elementi sufficienti per esprimere un’opinione fondata, ma la vicenda ci suggerisce qualche considerazione di carattere generale.
Se alcune decine di cittadini milanesi si ritiene disturbato dalle canzoncine dei bambini è perché, forse, c’è qualcosa nel nostro modello sociale che non funziona bene: da che mondo è mondo i bambini giocano e cantano e noi adulti dovremmo essere ben contenti che i piccoli si accostino alla realtà in modo festoso e giocoso.
E’ pur vero che la gestione di un asilo nido deve essere compatibile con la vita condominiale ma se si legge la notizia si scopre che in realtà i condomini si sono lamentati non già de generici rumori che possono provenire da un asilo ma proprio dei canti e della musica.
Sembra esserci – sotto sotto – un’idea un po’ anti-sociale dell’educazione: far crescere i bambini è una questione privata, i “piccoli” vanno cresciuti in modo da non interferire con la vita dei “grandi” i quali, a loro volta, hanno diritto di trascorrere la giornata senza essere infastiditi dai tentativi dei piccoli di diventare grandi.
Insomma, il vecchio e ben noto proverbio africano “per crescere un bambino ci vuole un villaggio” non sembra di casa a Milano, ma forse non è di casa in tante altre città italiane.
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