La mattina del 28 agosto 2019, su “Repubblica”, veniva pubblicato un articolo dal titolo: Dai congiuntivi alle percentuali-quando l’asino è l’aspirante preside, a firma di Massimo Arcangeli, il quale difendeva l’operato della commissione 30, di cui ne era il presidente, rispetto alla presunta esagerazione del numero dei bocciati e al trattamento fatto a un candidato di una certa levatura politica.
Perché il professore offriva questi aneddoti alle lettrici e ai lettori di “Repubblica”?
Per suscitare l’ilarità e l’indignazione del lettore ignaro di tanta, “devastante” situazione? Oppure per denunciare, malcelatamente, il metodo di reclutamento del sistema scolastico italiano? Sarei
tentato di pensare alla seconda ipotesi, perché la prima sarebbe banale e impoverirebbe il dibattito.
Ma nel secondo caso, il professore commetteva l’errore di dileggiare i candidati, ovvero quanti meritavano il rispetto della loro persona e del loro operato.
Il professore dimenticava che I poveri ci vuol poco a farli comparir birboni, e mi sarei atteso un’analisi più oggettiva e complessa,
con delle osservazioni puntuali e rigorose che evidenziassero le contraddizioni emerse dallo svolgimento di questo concorso. Difatti, il suo scritto non mi ha indignato, né offeso, semplicemente mi ha deluso.
Anche perché, a leggere i catenacci dell’articolo, si potrebbe
sospettare una excusatio non petita, dato che gliommeri questo concorso ne ha evidenziati parecchi.
Invece di narrare episodi irrilevanti, così come potrebbe avvenire in una cena tra conoscenti, giusto per animare la serata, a proposito dell’operato della sua commissione, perché non discutiamo della fase anteriore degli esami orali, ovvero la correzione delle prove scritte?
Dalla lettura di un verbale datato 7 marzo 2019 si evince che quel giorno i membri della Commissione (quattro persone) avrebbero svolto in sequenza le seguenti operazioni:
1. Valutazione di 14 prove scritte;
2. “Controllo finale”;
3. Rilevazione di “errori materiali” in nove elaborati;
4. Correzione degli errori di valutazione per nove elaborati;
5. Rilettura di TUTTI gli elaborati (246 prove, ndr.), ritenendo “all’unanimità, di procedere alla rivalutazione” di cinque prove “anche in considerazione del punteggio positivo ottenuto nella prova di lingua”.
Il tutto dalle ore 9.30 alle ore 18.30.
Sarei curioso di capire come sia stato possibile che quattro commissari abbiano riletto 246 prove in
nove ore (540 minuti). Perché, io che non brillo in matematica, se divido le prove per quattro commissari ne ottengo 61,5 a testa. E se divido 540 minuti per 61,5 ottengo 8,78 minuti a prova (a
lettura svolta da un solo commissario). Secondo il professore, io che non sbaglio i congiuntivi, che sono specialista in lingua straniera, che conosco l’informatica scolastica, che gesticolo quando parlo e che per 2,75 punti non sono stato ammesso alla prova orale, ce le ho le ragioni per sollecitare cortesi risposte?
-Con quali criteri hanno riletto le 246 prove?
-Avevano accesso ai risultati delle prove in lingua?
-In quale misura i voti di lingua sono stati determinanti per la modifica della valutazione finale di alcune prove e non di tutte quelle che hanno ottenuto 20/20?
Se l’egregio professore risponderà gliene sarò riconoscente, anche perché, a leggere i suoi interventi, non sembra possieda le competenze per valutare l’idoneità di un dirigente scolastico,
quando desidero convincermi del contrario.
Mi congedo soffermadomi sul fatto che nell’articolo-divertissement a cui rispondo non vengono menzionati strafalcioni sulla conoscenza della normativa scolastica, della conduzione delle
organizzazioni complesse e di quant’altro di più specifico il programma d’esame richiedeva, perché – ho motivo di pensare- i candidati, in quei casi, non commettevano alcuno strafalcione.
E per favore, ricordiamoci che con Legge 59/1997, art. 21, la figura del “preside” venne sostituita con quella del “Dirigente scolastico”
Giuseppe Mirabella