Categorie: Politica scolastica

Aspettando la riforma

Alla vigilia del preannunciato Consiglio dei Ministri nel quale sarebbe in programma la definizione della riforma del sistema scolastico e di reclutamento dei docenti italiani, abbiamo pensato di proporre una riflessione mettendo a confronto alcune anticipazioni, non soltanto dal MIUR. Le dichiarazioni del Ministro Giannini, infatti, pur applaudite da quanti attendono la stabilizzazione da anni, vanno calate nella realtà dei fatti e incrociate con le dichiarazioni del Ministro dell’economia Padoan e della stessa Ministra, per poter ipotizzare gli scenari futuri, a nostro avviso tutt’altro che incoraggianti e rassicuranti. Così, a fronte degli investimenti promessi dal Governo Renzi per la scuola, abbiamo appreso che sono al vaglio del MEF tagli che non risparmieranno la scuola pubblica (vedi le dichiarazioni rilasciate dal Ministro Padoan il 29 agosto). Ma i soldi per la scuola privata, invece, come ha promesso la Giannini, finanziamenti pubblici vietati dalla Costituzione, si troveranno! E tutto questo in nome di un fantomatico “miglioramento di efficienza in tutta la pubblica amministrazione”.

La scuola pubblica italiana, già penalizzata dai tagli progressivi inaugurati nel 2009, ridotta a un pubblico servizio, non più la colonna portante della trasmissione culturale e della formazione, definitivamente esautorata della sua veste istituzionale, sarà nuovamente oggetto di tagli. E gli investimenti per le assunzioni dei 100.000 insegnanti che dovrebbero migliorare il servizio scolastico? E quelli per il miglioramento dell’edilizia scolastica che, ricordiamo, non servono ad un restyling, ma alla messa in sicurezza degli edifici che accolgono i nostri figli? Non se ne parla più, anzi, all’indomani delle anticipazioni del MIUR, tutti si sono prodigati a ridimensionarne la portata “epocale”.

Ma tutto questo non basta, perché il MIUR non rappresenta e garantisce più niente e nessuno: pensiamo ai docenti che attendono il pensionamento, ai docenti in esubero a seguito delle ‘razionalizzazioni’, fatte di accorpamenti, di un più elevato numero di alunni per classe, di una riduzione dei laboratori; ai precari da anni parcheggiati in GAE, sfruttati e poi beffati dal Concorsone e, magari anche dal prossimo concorso, quello annunciato per il 2015. Ma se saranno stabilizzati, come è stato annunciato, 100.000 docenti, per chi sarà bandito il prossimo concorso? Forse per gli illusi dei TFA? Illusi, sì, perché di precari, oltre quelli delle GAE, ci sono da oltre dieci anni anche i docenti assunti dalle graduatorie d’istituto, ignorati da tutti, pure dai sindacati, nonostante abbiano garantito il regolare svolgimento del servizio scolastico nazionale e nonostante siano prima di tutto dei lavoratori. Oppure il Miur ha in mente di occuparsi dei truffati dei PAS, il percorso abilitante speciale per tutti quegli insegnanti che hanno esercitato la professione docente per almeno tre anni? Con una mano, infatti, a questi, chiedeva l’obolo di 3000 euro (o poco meno, che è quanto le università italiane pretendono per la frequenza di pochi mesi a questi ‘speciali corsi abilitanti’), e con l’altra abilitava gratuitamente perché lo prevede la legge europea (e dal 2007 anche italiana) tutti quegli insegnanti con gli stessi tre anni di servizio purché svolto in un paese non italiano (Romania, Polonia, Bulgaria, Grecia, Repubblica Ceca ecc.).

Ora, è solo mettendo in fila tutte queste incongruenze e iniquità quotidianamente messe in atto dal MIUR, che ci si rende conto ciò che realmente bolle in pentola: una minestra scotta e scadente nella migliore delle ipotesi, o una bella polpetta avvelenata solo ad essere appena un po’ più realisti. Fuori dalla retorica ministeriale, dunque, solo nubi plumbee e cupe fosche per tutti i docenti italiani.

Non potevamo evitare di mettere in fila tutto, aspettando la riforma, per fare in modo che la memoria corta, che comunemente contraddistingue chi è appeso al filo delle speranze, sia “rinfrescata” e si sappia bene, ancora una volta e purtroppo,  da chi e da cosa rischiare di doversi difendere.

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