Personale

Aspettativa scuola per motivi di lavoro. Qual è la durata massima? Come funziona?

Sono sempre più frequenti i casi in cui i docenti (sarà per lo stress?) chiedono di essere collocati in aspettativa.

Oltre all’aspettativa per motivi di famiglia, personali o di studio, da alcuni anni è prevista anche la possibilità del collocamento in aspettativa per motivi di lavoro.

L’aspettativa per motivi di lavoro

Il CCNL contempla sostanzialmente due tipi di “aspettativa” per motivi di lavoro.

Se il diverso lavoro riguarda il comparto scuola, secondo l’art. 36 CCNL 2006/09 il personale docente può accettare altri rapporti di lavoro a tempo determinato, purchè di durata non inferiore ad un anno, mantenendo la sede di titolarità complessivamente per tre anni.

L’inciso purchè di durata non inferiore ad un anno ha dato luogo a non pochi problemi applicativi, in quanto si sono verificati molti casi di rifiuto – da parte di alcune Ragionerie Territoriali – di registrare i contratti a tempo determinato per il personale in servizio, trattandosi contratti fino al 30 giugno (quindi, a rigore, di durata inferiore ad un anno).

L’ipotesi di contratto firmata il 14 luglio 2023 prevede opportunamente – all’art. 47- che tale possibilità ricomprenda anche i contratti fino al 30 giugno, precisando altresì che il termine di tre anni ricomincia a decorrere in caso di assegnazione di nuova sede di titolarità.

Se il diverso lavoro non riguarda la scuola

In questo caso, l’art.18, comma 3 del CCNL 2006/09 prevede la possibilità di essere collocato in aspettativa per un anno scolastico per realizzare l’esperienza di una diversa attività lavorativa o per superare un periodo di prova.

L’aspettativa ai sensi dell’art. 23-bis D. Lgs. n. 165/2001

Non tutti sanno che i dipendenti pubblici possono chiedere un’ulteriore aspettativa, per lo svolgimento di un’attività anche presso privati, ai sensi dell’art. 23-bis D. Lgs. n. 165/2001Disposizioni in materia di mobilità tra pubblico e privato.

Secondo tale disposizione, “i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati, salvo motivato diniego dell’amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale”.

Ai sensi del comma 4, “nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, il periodo di collocamento in aspettativa non può superare i cinque anni, e’ rinnovabile per una sola volta  e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza”.

Per quali categorie si applica tale normativa?

L’ultimo comma del citato art. 23-bis esclude l’applicabilità di tale normativa “nei confronti del personale militare e delle Forze di polizia, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco” (dunque non nel caso del personale scolastico).

I pareri della Presidenza del Consiglio

In relazione a tale disposizione, si è pronunciata la Presidenza del Consiglio dei Ministri con Parere dell’01/07/2022 – n. 52969, che ha rilevato come “tale aspettativa – inizialmente prevista per il personale dirigenziale e poi estesa al personale non dirigenziale dalla novella disposta con legge n. 56 del 2019 – è finalizzata a favorire l’osmosi tra diverse esperienze lavorative e lo sviluppo di più articolate esperienze professionali, con conseguenti positive ricadute sulla capacità amministrativa dell’amministrazione”.

Qual è la durata complessiva dell’aspettativa?

Sul punto, si è recentemente pronunciata la Presidenza del Consiglio dei Ministri con Parere dell’01/06/2022 – n.. 45176.

Il quesito riguardava l’interpretazione della norma nella parte in cui stabilisce che “il periodo di collocamento in aspettativa (…) non può superare i cinque anni, è rinnovabile per una sola volta”.

Dunque, si trattava di capire se il termine di cinque anni è da intendersi come periodo massimo oppure – se essendo rinnovabile – si possa pervenire ad un periodo complessivo fino a dieci anni.

Secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, “il tenore letterale della norma e l’inserimento delle parole “e rinnovabile per una sola volta” dopo il riferimento alla durata del periodo massimo di cinque anni, inducono a ritenere ammissibile l’ipotesi di aggiungere un ulteriore periodo di 5 anni di aspettativa, con la conseguenza che la durata massima di fruizione è quindi determinata in 10 anni”.

Francesco Orecchioni

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