Un aumento sempre più visibile e che allarma non poco. Una percentuale che è salita dal 27 al 40,4% in tre anni. Parliamo dei profili “introvabili” per le imprese, una crisi acuita dalla pandemia negli ultimi due anni e un trend che non conosce pause.
Secondo ‘Il Sole 24 Ore’ che tratta l’argomento, stiamo assistendo all’assenza di candidati e di competenze richieste dai datori di lavoro in seguito all’errore fatto dal governo Conte di aver smantellato la scuola-lavoro e non aver investito nell’orientamento.
Sempre secondo il quotidiano che analizza i dati forniti da Unioncamere-Anpal i primi cinque settori in sofferenza sono: industrie metallurgiche, meccaniche ed elettroniche, Ict, legno-arredo, costruzioni. Tra le prime professioni “introvabili” nel 2021 ecco ingegneri ed elettrotecnici, progettisti e meccanici, analisti e progettisti software e operai specializzati.
Questa difficoltà a reperire figure professionali riguarda soprattutto aziende del Nord frenate nella loro operatività e coinvolgendo anche alcuni settori nel mondo dei servizi.
Le responsabilità si riflettono sul sistema di formazione e l’orientamento che non riescono a legarsi con le necessità del mondo del lavoro. Nel concreto, dagli istituti tecnici superiori vengono fuori 4-5mila diplomati ogni anno ma ne servirebbero 4 volte tanto per coprire il fabbisogno delle imprese. Le iscrizioni a tecnici e professionali restano insufficienti. Anche i laureati Stem sono pochi e con quote rosa minime. Servono talenti e serve far capire alle famiglie l’importanza di questi settori, spingendo i giovani a investire su sé stessi.