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Assenza per malattia, quando lo svolgimento di altra attività può costare il posto: due sentenze della Cassazione

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La Cassazione ha recentemente emesso due sentenze divergenti riguardo al comportamento di lavoratori che svolgono altre attività durante il periodo di malattia.

Lavoratore che svolge attività sportiva

Nel primo caso (ordinanza 23852 del 5 settembre 2024), il lavoratore aveva partecipato a un torneo di calcio mentre era in malattia, e la Corte ha confermato il licenziamento.

La decisione si è basata sulla violazione degli obblighi di diligenza, correttezza e fedeltà: l’attività sportiva era considerata incompatibile con lo stato di malattia dichiarato, tanto da far sospettare una simulazione della malattia stessa e da potenzialmente ritardare il rientro al lavoro.

La partecipazione al torneo, essendo un’attività fisica impegnativa, è stata considerata come prova di un comportamento fraudolento e in malafede, giustificando quindi il licenziamento.

Lavoratrice che va al bingo e a fare shopping

Nel secondo caso (ordinanza 23858 del 5 settembre 2024), una lavoratrice era stata vista frequentare una sala bingo e fare la spesa durante il periodo di malattia.

In questo caso, la Cassazione ha escluso il licenziamento, ritenendo che non fosse dimostrata l’incompatibilità tra le attività svolte e lo stato di malattia.

Secondo la Corte, il datore di lavoro non ha fornito prove sufficienti per dimostrare che le attività della lavoratrice avessero potenzialmente compromesso la sua guarigione o ritardato il rientro in servizio. In assenza di una dimostrazione di malafede o simulazione della malattia, la partecipazione ad attività ludiche o quotidiane non è automaticamente considerata una violazione, purché compatibile con lo stato di salute e rispettosa degli obblighi di correttezza e buonafede.

In conclusione

In sintesi, la Cassazione ha chiarito che lo svolgimento di altre attività durante la malattia può giustificare il licenziamento se queste pregiudicano la guarigione o fanno sospettare una simulazione, ma l’onere della prova ricade sul datore di lavoro.