Certamente destinata a far discutere la sentenza con cui il Tribunale di Roma ha condannato il Ministero a versare quasi 70 mila euro ad un assistente amministrativo, riconoscendo la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra il medesimo e il Ministero dell’Istruzione, che lo aveva assunto con un contratto di “co.co.co”.
Se è vero che il Ministero ha provveduto – seppure tardivamente – alla stabilizzazione dei lavoratori originariamente assunti con contratti di co.co.co., è anche vero che per svariati anni costoro sono stati privati di molti diritti, sia sul piano normativo (permessi e assenze), sia su quello retributivo.
Il dipendente ha sostenuto che il lavoro svolto con continuità per molti anni fosse in realtà un lavoro subordinato e che pertanto aveva diritto ad un normale stipendio, oltre a tredicesima, Cia, ecc.
La distinzione tra lavoro autonomo e subordinato è oggetto da tempo di un largo dibattito giurisprudenziale.
La giurisprudenza ha elaborato un “indice” di elementi che caratterizzano la subordinazione, quali:
Secondo la giurisprudenza, al di là del c.d. nomen iuris (vale a dire la denominazione giuridica attribuita dalle parti al contratto), occorre far riferimento all’effettivo rapporto di lavoro, vale a dire se sia ravvisabile in esso un vincolo di subordinazione.
Nel corso della causa, è emerso che il dipendente dal 2001 al 2018 aveva svolto le mansioni tipiche di un Assistente Amministrativo.
Una volta accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 8037/2022 del 5.10.2022 , ha condannato il Ministero convenuto a versare al dipendente la somma di € 69.284,06, dovuta a titolo di differenze retributive ed arretrati.
Il Ministero è stato inoltre condannato ad inquadrare il dipendente nella 3^ fascia stipendiale.
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