Consideriamo il “piano scuola” presentato nei giorni scorsi, un attacco alla scuola pubblica e un affronto alle persone che ci lavorano. Il mezzo col quale anche il governo Renzi cerca di far cassa sottraendo risorse all’istruzione pubblica è la degna continuazione, con il marchio del centro-sinistra, della “riforma epocale” di Gelmini, quella che, cancellando 150.000 posti di lavoro e sottraendo 8 miliardi di euro ha prodotto soltanto una scuola peggiore. È toccato ad un ingegnere prestato alla politica, tale Roberto Reggi, sottosegretario all’istruzione per meriti che ci sfuggono, sfoggiare la propria migliore faccia tosta e annunciare questo “piano” che ridurrebbe a quattro gli anni di liceo e raddoppierebbe l’orario di servizio dei docenti: naturalmente a parità di stipendio, naturalmente tirando ancora una volta in ballo la “meritocrazia”, naturalmente ignorando del tutto le reali condizioni delle nostre scuole che non sono attrezzate per consentire ai docenti di preparare lezioni, correggere compiti, fare ricerca al loro interno. Ma questo il Ministro e il sottosegretario lo ignorano, a loro interessa solo spendere meno, sollecitando il complice consenso di un’opinione pubblica sapientemente ingannata con la favola delle 18 ore settimanali di lavoro degli insegnanti. E così ecco che nascondono volutamente quanto lavoro ci sia oltre all’attività di lezione frontale, che gli stipendi sono fermi dal 2007, che le paghe sono molto al di sotto della media europea, che le condizioni di lavoro sono, nel tempo, costantemente peggiorate.
Eppure basterebbe obbligare costoro a sperimentare cosa sia un’ora di lezione in classe – intendiamo dire in classi sempre più affollate, con studenti sempre più demotivati e colonizzati da un mondo esterno che certo non comunica stili di comportamento consoni al modello scolastico auspicabile – per far loro cambiare idea sulla fatica del nostro lavoro. Così come sarebbe utile che il trattamento riservato ai nostri precari (persone laureate, nemmeno più tanto giovani, visto che all’ultimo concorso l’età media si avvicinava ai 40 anni) – 1.300 euro al mese, spesso ricevuti con gravi ritardi, toccasse anche a quei politici incompetenti che favoleggiano di “rivoluzioni scolastiche” senza conoscere neppure i meccanismi elementari del servizio sociale che vorrebbero tanto radicalmente cambiare.
Come si permette, questo Reggi, di equiparare la scuola italiana ad un ammortizzatore sociale? Come osa declassare tanti professionisti, seri ancorché sottopagati, ad assistiti dallo Stato? È questo il rispetto che costui mostra nei confronti dei maestri dei nostri figli? E se anche ci fossero insegnanti inadeguati la colpa sarebbe in primo luogo di chi ci ha governato e, negli anni, non è stato in grado di favorire una seria politica scolastica, ha spinto verso l’assurda burocratizzazione di un lavoro importante e delicato, ha pensato di risolvere con mezzucci problemi assai seri, ha avvilito intere generazioni di insegnanti attraverso il precariato e favorito il discredito sociale della categoria, discredito che, in una società di mercato come la nostra passa in primo luogo attraverso stipendi da fame. Non ne possiamo più dell’atteggiamento ipocrita di questi politici che a parole mettono sempre la scuola al primo posto nell’agenda di governo e poi, nei fatti, propongono sempre e solo tagli.
Noi sappiamo che i ricchi, alla Reggi, sapranno sempre dove mandare a studiare i loro figli; proprio per questo vogliamo che tutti gli altri abbiano diritto ad una buona scuola statale, in cui studenti e insegnanti lavorino armoniosamente e volentieri. Perciò chiediamo l’immediato ritiro del “piano scuola”, investimenti adeguati per congrui aumenti salariali per tutti, certezze sugli scatti di anzianità, stabilizzazione dei precari, rispetto delle norme di sicurezza sia per ciò che concerne l’edilizia scolastica sia per ciò che riguarda il numero di alunni per classe. E, mentre aspettiamo le scuse di Reggi, lo invitiamo a leggere le cronache giudiziarie e a riflettere su quanto spesso la politica – e non la scuola – funzioni da “ammortizzatore sociale” per individui spregiudicati e rapaci.
La Cub – Sur proclama sin da ora lo stato di mobilitazione e chiama tutti coloro che hanno a cuore una società più giusta ad unirsi alla protesta dei lavoratori della scuola. Cominciamo subito con presidi ed assemblee in tutti i luoghi in cui sarà possibile realizzarli; continueremo a settembre, partendo dal collegio docenti di inizio anno, che dovrà essere il luogo in cui discutere delle scellerate iniziative governative e proporre mozioni, per poi proseguire con lo sciopero del primo giorno di scuola, che ci vedrà accanto ai nostri studenti e contro quelli che vogliono favorire la diseguaglianza sociale anche attraverso lo sfascio della scuola pubblica.