Marco Crepaldi, presidente dell’Associazione Hikikomori Italia, lancia un ulteriore allarme sulla crescita ormai assai diffusa del fenomeno Hikikomori, la sindrome, descritta per la prima volta in Giappone, che colpisce gli adolescenti che “decidono” di isolarsi da tutto, si ritirano dalla vita sociale e dalla scuola per rinchiudersi in casa e, molto più spesso nella propria stanza, hanno come unica finestra sul mondo internet, proprio la Rete che li tiene in trappola.
Dice il presidente: “Sono sempre più i ricercatori a livello internazionale che hanno iniziato a studiare la Sindrome di Hikikomori. Il fenomeno è in estrema crescita, non ci sono dubbi. L’inizio dei sintomi di ritiro avviene durante l’adolescenza, intorno ai 15 anni ma se non si interviene correttamente la sindrome tende a cronicizzarsi e può perdurare potenzialmente per tutta la vita. È importante stare molto attenti a non sottovalutare neanche i primi mesi di isolamento perché sono i più delicati e se non si riesce a intervenire subito il rischio è che da mesi si trasformino in anni”. Al momento Hikikomori è considerato solo un “fenomeno sociale che riguarda tutto il mondo”.
Spiega Crepaldi all’Agi: “I sei mesi come termine per riconoscere la sindrome “sono stati stabiliti dal ministero della salute Giapponese, ma è un criterio assolutamente interno alla nazione e non è detto che debba essere adottato a livello internazionale. Io ritengo che sia fuorviante perché l’isolamento tipico di questa sindrome ha diverse fasi che possono aggravarsi con il tempo. Dopo un isolamento totale di 2-3 mesi non ha senso aspettarne sei per intervenire”.
Anche se i campanelli d’allarme possono sembrare semplici da riconoscere è un fenomeno molto difficile da diagnosticare, “spesso si associa alla depressione, soprattutto nella fase prolungata dell’isolamento, in particolar modo quando diventa patologico. Molte volte Hikikomori viene confuso con una forma di dipendenza da internet perché i ragazzi, non uscendo più, si rifugiano nei videogiochi, nei manga, nelle serie tv o nei film. Tutto ciò induce erroneamente un genitore a pensare che il problema sia il web”.
Dunque per Crepaldi è “importante non confondere la causa con l’effetto. Allo stesso tempo però è altrettanto sbagliato pensare che la soluzione possa essere costringere il giovane ad uscire o staccare internet. Sono escamotage che provocano l’effetto contrario”.
Anche la pandemia ha giocato un ruolo negativo su questi ragazzi e dunque, secondo l’esperto, non è facile risalire alle cause che scatenano, ma molto può dipendere “dalla società, oggi troppo competitiva che fa sentire questi ragazzi inadeguati e impauriti”.