Formazione iniziale e continua per far crescere l’impresa “che sta ripensando se stessa" e per ridare valore al lavoro. Un lavoro dal volto nuovo, che presti maggiore attenzione all’uomo, sia gratificante e non alienante, nasca dallo sviluppo e non sia inteso solo come assistito o come posto. Sono questi alcuni dei temi di cui si è discusso il 16 ottobre scorso a Milano nel convegno “Il lavoro come valore" organizzato da Assolombarda. Il dibattito, moderato da Ferruccio de Bortoli, direttore del “Corriere della Sera", ha visto la partecipazione di importanti personalità.
Tra gli altri sono intervenuti il commissario europeo Mario Monti, il ministro del lavoro Tiziano Treu, il presidente del CNL Giuseppe De Rita, il segretario generale della CGIL Sergio Cofferati, il vicepresidente di Confindustria Carlo Callieri, il presidente di Assolombarda Benito Benedini, il presidente di Piccola Industria Assolombarda Michele Perini ed il cardinale Carlo Maria Martini.
Della necessità della preparazione si sono dimostrati convinti tutti a partire da Benito Benedini e da Carlo Callieri, che ritiene la formazione – e particolarmente quella continua – strumento per evitare l’insicurezza generata dalle incertezze derivanti dalle grandi trasformazioni e “fondamento dei nuovi diritti del lavoro" perché “non si può chiedere flessibilità a chi non ha competenze". Per Sergio Cofferati, che ha ricordato come in una parte del Paese la disoccupazione sia al 4% e in un’altra al 20, il possesso dei saperi è estremamente importante, ma sono anche necessarie terapie differenziate perché nelle aree sature il problema dei giovani non è quello di avere un impiego qualsiasi, ma quello della sua qualità. I giovani, infatti, secondo i dati di una ricerca degli industriali di Monza ricordata da Carlo Callieri, si suddividono in due gruppi, quello dei “più innovativi e flessibili" e quello dei “tradizionalisti". I primi hanno una buona preparazione, non hanno paura di tentare, accettano un’attività anche modesta perché sanno ci sarà tempo per migliorare, hanno autostima e fiducia nelle capacità personali. Gli altri, i tradizionalisti, sovente poco istruiti, sono invece insicuri e diffidenti e sognano ancora un posto da mantenere per tutta la vita.
Quello che è certo, come anche ha rilevato Mario Monti, è che occorre offrire delle opportunità alle nuove generazioni e prestare maggiore attenzione alle trasformazioni perché si sta modificando anche l’atteggiamento della popolazione italiana. Lo dimostrano i dati – presentati da Giuseppe De Rita – di una comparazione fatta dal CENSIS su tre indagini realizzate rispettivamente nel 1978, 1988 e 1997 in base ai quali, ad esempio, il valore dell’autorealizzazione nel lavoro è oggi in cima alla classifica, essendo passato dal 29,9% di venti anni fa al 39% del 1997 mentre la “sicurezza del posto" è scesa dal 59,9% del 1978 al 28,5% dello scorso anno.
Il lavoro va dunque vissuto come mezzo per la crescita della dignità della persona e come strumento di progresso materiale e morale della società. Per questo, sono necessarie delle agenzie che educhino a questi valori, ma, sempre secondo De Rita, quelle tradizionali, famiglia e scuola, non riescono a garantirli la prima perché troppo “aggravata dal far fronte a funzioni di supplenza del welfare", la seconda perché ancora troppo lontana dalla realtà e bisognosa di cure che vanno dalla riqualificazione del corpo docente e dal cambiamento del sistema di reclutamento alla “ristrutturazione organizzativa delle scuole, in funzione del rapporto con le agenzie del territorio", e al rilancio del gusto dell’apprendere.
Anche per Michele Perini, se si vuole migliorare, bisogna partire innanzitutto da interventi mirati in campo scolastico e formativo. E’ solo sui banchi di scuola, ha infatti detto, che si può ottenere sia una valida formazione generale, supporto indispensabile alla formazione specializzata sia la disponibilità al cambiamento sia infine la maturazione “di una cultura generale del lavoro, di un nuovo orgoglio del «saper fare» e del valore dello stesso lavoro manuale rispetto al titolo di studio in quanto tale". Si tratta in definitiva di essere anche preparati a lavorare con passione.
Un messaggio in tal senso è venuto pure dal cardinale Martini, che ha invitato a prendere esempio da “quel meccanico che dice a un amico: ho fatto un lavoraccio, ma ti ho messo la macchina a posto. Perché quel meccanico ha certo avuto del denaro per il lavoro fatto, ma ha regalato all’amico la sua pazienza, attenzione, creatività e intelligenza. E queste cose non si pagano".
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