«Ogni anno il Governo Italiano investe circa 19 miliardi di euro in attività ambientalmente dannose. Mentre sono 23 i miliardi che destina alle spese militari, 6 dei quali per acquistare nuove armi. Fondi che, se sommati, equivalgono quasi a una Finanziaria. La ripartenza dopo il Covid-19 è un’occasione storica che ci mette davanti ad un bivio: ripristinare il vecchio sistema economico fondato su attività inquinanti e distruttive che hanno avvelenato noi e il Pianeta, o porre una volta per tutte le basi per consegnare alle future generazioni un mondo verde, sicuro e pacifico?».
Sono le parole della petizione di Greenpeace “Ripartire da salute, lavoro e ambiente”, accompagnata da manifesti (con lo slogan “La battaglia da combattere è un’altra”) che, per le strade d’Italia, invitano a ripartire dall’istruzione dopo la pandemia.
Effettivamente, se si confrontano i tagli apportati a istruzione e sanità pubbliche (cioè statali) negli ultimi tre decenni, non è difficile accorgersi che la condizione di degrado in cui entrambe versano oggi non è frutto del caso, ma di scelte ben precise. Scelte che hanno svantaggiato la maggior parte della popolazione — fruitrice di sanità e istruzione — e avvantaggiato chi fabbrica e vende armamenti.
«Non si può certo rinunciare a esercito e armi», si dirà. Eppure, ammesso e non concesso che ciò sia vero, le cifre che lo Stato italiano destina alla spesa militare sono molto superiori a quelle che ci si aspetterebbe da uno Stato che ha scritto in Costituzione il ripudio della guerra. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) — istituto internazionale indipendente che dal 1966 produce ricerca scientifica su cooperazione e conflitti — il Bel Paese ha speso per la “difesa” la bellezza di 26,8 miliardi di dollari solo nel 2019; piazzandosi così al 12° posto (8° nel 2009) nella muscolare classifica mondiale delle spese militari.
Quest’anno la spesa è aumentata del 6,4% (1,5 miliardi di euro): significa che in totale si spendono almeno 73 milioni al giorno. Ed è ancora poco, perché l’impegno preso con la NATO obbliga la Penisola far lievitare nel prossimo futuro l’esborso giornaliero a 100 milioni, preparandosi alla guerra nello spazio (nella quale gli USA vantano, secondo Il Manifesto, “interessi vitali”) e ad una spesa annua di 36,5 miliardi. Nel 2006 se ne spendevano quasi 20.
Solo per le missioni “di pace” all’estero — secondo l’Osservatorio Mil€x — andranno in fumo nel 2020 1,308 miliardi. 2,944 serviranno per gli armamenti (2,758 nel 2019). Le basi USA nello Stivale ci costeranno 520 milioni.
Oltre un miliardo sarà investito — secondo il notiziario di finanza etica Valori — nella portaerei Trieste (“la più grande costruita dalla seconda guerra mondiale”). 15 miliardi basteranno (forse) per il solo acquisto di 90 caccia F-35 (gioielli tecnologici la cui efficienza suscita più d’un dubbio). 6 miliardi serviranno per le Fregate missilistiche FREMM e altre meraviglie navali.
Insomma, non c’è che dire: i nostri confini sono sicuri e ben protetti. Spezzeremmo le reni chiunque volesse minacciarci. Un po’ meno sicuri stanno i cittadini che si ammalano (come l’emergenza ancora in corso ha ampiamente dimostrato) e quelli che mandano i figli a scuola. La pandemia ha, difatti, anche messo in luce la pericolosità delle classi pollaio per la salute di tutti gli Italiani.
Degli effetti rovinosi delle classi numerose sulla didattica è inutile parlare: sia perché è cosa ovvia (per chi un poco conosca la didattica); sia perché alla stragrande maggioranza degli Italiani — preoccupati solo di “far lavorare” i docenti, che essi credono “scansafatiche” — in genere la didattica non interessa, persuasi come sono che i docenti siano “impiegati part-time”. E così, impegnato nel coltivare il livore verso il “prof” che osò mettergli 4, l’italiano medio non si preoccupa del fatto che lo Stivale investe in istruzione meno di ogni altro Stato europeo (come dimostra anche l’analisi dei dati messa disposizione da Peacelink).
Proviamo allora a fare due conti. Posto che lo stipendio di un docente costa allo Stato circa 32.000 euro all’anno, quanto in più dovrebbe spendere lo Stato per assumere quei 200.000 docenti che consentirebbero di ridurre il numero di alunni per classe? Risposta: 6,4 miliardi. Per trovarli, basterebbe rinunciare a 38 caccia F-35 (i cui costi di mantenimento nel tempo superano quelli necessari per l’acquisto), comprandone “soli” 52.
La scelta, però — ci rendiamo conto — pone seri problemi etici ed umanitari: sarebbe giusto privare gli azionisti della Lockheed Martin (azienda che vanta peraltro saldi legami con la Storia italiana) di così generosi introiti e profitti? Non è forse preferibile, onde non intaccare sì lauti guadagni, tenerci il calore umano delle classi pollaio? Non è forse vero che in edifici scolastici fatiscenti, sovraffollati, caldi d’estate e freddi d’inverno, si insegna meglio ai ragazzi a meditare sulla caducità delle umane sorti? Competenza non inutile per giovani il cui futuro di precarietà e disoccupazione è già segnato, in un Paese che non mostra più alcuna propensione per il pensiero critico. Anzi, per il pensiero.
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