Dal prof Giordano Otello Marilli (che avevamo intervistato per la nostra rubrica La Tecnica per la scuola), docente di italiano, latino, greco e storia presso il Liceo “Giuseppe Peano” di Tortona, riceviamo una interessante riflessione sul ruolo degli insegnanti, le prospettive che si possono offrire al nostro sistema di istruzione e poi una analisi vigorosa relativa ai precari che, se da un lato stanno consentendo alla scuola di funzionare, dall’altro sembra non si voglia riconoscere quei titoli he si sono conquistati sul campo.
Nel corso di questa pandemia, una delle formule ricorrenti è “niente sarà più come prima”. Credo che sia una affermazione tanto corretta quanto difficile da realizzare, cosa significa che niente debba essere come prima? In che modo si potrebbe raggiungere tale obiettivo? Sono interrogativi a cui è complicato dare una risposta: si può, però, provare a dare alcuni spunti, in questa sede, rispetto alla scuola.
Voltare pagina nella scuola significherebbe archiviare definitivamente l’impianto della legge 133 del 2008, ai tempi dei ministri Gelmini e Brunetta, che ha avviato una stagione di tagli sull’istruzione identificando la scuola come un costo, non come un investimento. A soffrire di questo impianto è stato tutto il sistema: cattedre sforbiciate dalla sera alla mattina, insegnamenti accorpati, migliaia di docenti precipitati in una spirale di lungo, lunghissimo, precariato. Un percorso lungo dodici anni, che oggi deve interrompersi per avviare una fase nuova, che dovrà necessariamente avere come caposaldo una rivalutazione della professione docente.
Per intenderci, non si tratta di una mera rivendicazione stipendiale, bensì di ripristinare il ruolo, la funzione, dei docenti nella società: un docente è un professionista che si confronta quotidianamente con la difficoltà di “maneggiare” materiale umano sensibilissimo. Un docente non fa tre mesi di vacanza, non lavora mezza giornata; professoresse, maestre, professori e maestri si impegnano giornalmente nella costruzione di percorsi educativi che vadano incontro alle esigenze formative individuali dei propri alunni.
Si obietta che ci sono docenti scarsi, è vero: tuttavia esistono medici scarsi, avvocati mediocri, ingegneri incompetenti, operai svogliati e l’elenco potrebbe continuare a lungo come queste odiose generalizzazioni. La rivalutazione del docente come professionista passa da una delle sfide più importanti da affrontare per dare una nuova prospettiva alla scuola di ogni ordine e grado: la costruzione di un nuovo modello di reclutamento per i docenti.
La scuola è una scelta, non un ripiego per nessuno dei suoi docenti: questo dovrebbe essere chiaro soprattutto al legislatore che in questi anni ha potuto tenere aperti gli istituti attraverso i precari chiamati a sopperire alle mancanze di uno Stato che ha lasciato la scuola da sola di fronte alle sue difficoltà e alle sue esigenze tanto sulle cattedre comuni quanto su quelle di sostegno. Per potere affrontare correttamente la costruzione di un nuovo reclutamento che abbassi l’età media del corpo docente, che garantisca la copertura del fabbisogno e la continuità didattica, è imperativo sciogliere una volta per tutte il nodo del precariato storico. Ci sono docenti, che dalla chiusura dei percorsi Ssis non hanno avuto uno schema di formazione che fosse ancorato al reclutamento (i due cicli tfa e il pas erano abilitanti ma non permettevano l’immissione in ruolo come anche il famigerato tfa sostegno), che da anni (tre, cinque, dieci e più) ogni anno si sottopongono al rito delle convocazioni per permettere che la scuola non si fermi e che in questi anni hanno maturato competenze, merito e professionalità “sul campo”: sarebbe una somma ingiustizia non tenerne conto e non restituirgli quanto hanno dato con il loro lavoro.
Per questo a settembre, all’avvio dell’anno scolastico più difficile della storia repubblicana, con moltissime incognite legate alla forme e ai metodi della scuola post-covid, con un numero impressionante di cattedre che saranno scoperte in ragione dei pensionamenti di quota 100, con la necessità di ridurre il numero di alunni per classe in ossequio alla necessità del distanziamento sociale, con l’imperativo per il sistema scolastico di non affidarsi a soluzioni fantasiose di doppi o tripli turni, con la necessità di non fare passi indietro sull’inclusione perché significherebbe far pagare un prezzo altissimo ai soggetti più deboli della scuola.
Un piano straordinario, dunque, per assumere, attraverso una procedura concorsuale per titoli, i precari storici che hanno almeno 36 mesi di servizio nella scuola pubblica (su posto comune e di sostegno) con un anno di prova altamente formativo, abilitante e selettivo in uscita: questa è la precondizione per poter avviare un nuovo reclutamento che parta dai fabbisogni di un sistema non più in emergenza che attraverso una corretta pianificazione eviti anni di precariato e soluzioni tampone come le MAD.
La scuola è un pilastro della ricostruzione al pari della sanità, dal suo funzionamento senza sperequazioni e storture dipende il colore del suo futuro: da roseo a fosco il passo può essere brevissimo.
Giordano Otello Marilli
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