Categorie: Riforme

Assunzioni, incarichi triennali, neo-assunti fermi cinque anni: il Pd lancia la sfida

Sono tre i passaggi prescelti dal primo partito d’opposizione, il Pd, per favorire quella continuità didattica tanto reclamata dalla Lega, confluita in un ddl, e che nei giorni scorsi ha spinto il ministro Gelmini ad auspicare un nuovo modello di reclutamento dei docenti: a tracciare la proposta alternativa è stata Francesca Puglisi, responsabile Scuola della segreteria nazionale del Partito democratico. In prima battuta ha detto che sarebbe opportuno “stabilizzare i precari, così come aveva deciso il governo Prodi nella Finanziaria 2007 con l’assunzione di 150mila insegnanti, poi bloccata dal governo Berlusconi“. Molto produttiva, sempre ai fini di limitare il ricambio di un docente su tre al termine di ogni a.s., sarebbe anche la possibilità di “assegnare incarichi almeno triennali“, con tutti quei docenti a tempo determinato che vanno a coprire una cattedra vacante. E per ultimo obbligare il docente ne-assunto in una sede “alla permanenza in quel ruolo per cinque anni“.
Le differenze rispetto a quanto paventato dal ministro sarebbero diverse: innanzitutto perché queste proposte non hanno nulla a che vedere con l’anagrafe e “con la residenza: perché –  chiede l’esponente del Pd – un docente residente a Firenze non dovrebbe poter insegnare a Bologna, quando oggi le due città sono separate solo da 30’ di treno?“.
La restrizione rispetto alla normativa in vigore non sarebbe comunque da poco: oggi un docente neo-immesso in ruolo ha la possibilità di chiedere il trasferimento dopo tre anni. Ma già dopo un anno può accedere alla “assegnazione provvisoria” qualora vi sino motivi familiari importanti (come il ricongiungimento al coniuge o l’assistenza esclusiva ad genitore con comprovati problemi di salute). Puglisi però non ha fatto riferimento a questa eventualità, lasciando forse troppi dubbi aperti.
La responsabile Scuola per il Pd ha voluto inoltre dire la sua sul punteggio maggiore che al Miur sembrerebbero voler concedere nei confronti dei prof residenti nella regione dove svolgono il servizio: per Puglisi sarebbe più opportuno, invece, “incentivare e premiare gli insegnanti che lavorano nelle scuole di frontiera, le scuole di periferia, dove è più forte il disagio sociale e dove ogni abbandono scolastico è una sconfitta per il futuro del nostro Paese“. A proposito dell’eventualità di introdurre degli albi regionali per il reclutamento, l’esponente del Pd ha liquidato la questione sottolineando la “marcia indietro” del ministro Gelmini dopo aver buttato un po’ di una boutade per coprire i tagli alla scuola pubblica“. In particolare, sempre secondo Puglisi, le dichiarazioni del responsabile del Miur dei giorni scorsi non avrebbero fatto altro che assecondare “un po’ di propaganda leghista sulla ‘bontà’ dell’insegnante padano, per coprire le 1.633 cattedre in meno nelle scuole venete“.
L’ultima annotazione riguarda i 26 mila insegnanti e i 15 mila collaboratori scolastici sottratti dagli organici del prossimo anno scolastico: nel Pd c’è preoccupazione, in particolare, per quelli che ancora una volta si abbatteranno “sulla primaria, distruggendo definitivamente – sottolinea la responsabile Scuola – i modelli educativi del tempo pieno e del modulo a 30 ore, che con ardite acrobazie e rottamazioni di team didattici, i dirigenti scolastici avevano provato a mantenere per rispondere al tempo scuola richiesto dalle famiglie“. Acrobazie che, il caso del Piemonte è emblematico, starebbero però creando problemi soprattutto alle primarie che propongono un’offerta formativa cosiddetta “a modulo”.
Alessandro Giuliani

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