I lettori ci scrivono

Attentato Mosca, malattie, nuove droghe, guerre: una Pasqua con il cielo a chiazze

Come classificare questa Pasqua 2024? Probabilmente, l’immagine più appropriata è quella del cielo a chiazze che ci è data di osservare, talvolta, in questo periodo. Uno sfondo azzurro su cui navigano brandelli di nubi grigie ma anche nuvoloni cupi, minacciosi, che sbucano da dietro le montagne. Mentre, ogni tanto, sbuffate improvvise di aria fredda ci avvertono che ci sarà un temporale.

Cosa significa questa allegoria? Che tutto, almeno in Europa, sembra funzionare come prima (lo sfondo azzurro). Che la vita sociale procede ancora, tutto sommato, in modo prevedibile, gratificante. C’è qualcosa, però, che disturba l’inquadratura coscienziale (le nubi grigie). Come sempre, del resto. Cortei in piazza turbolenti. Giovani disorientati, sempre più sedotti da modelli estremi e violenti.

Ma non mancano le nuvole cupe e sinistre. Cronache di straordinaria crudeltà, come la strage al teatro di Mosca. Nuove minacce all’integrità mentale del genere umano, come la ‘droga zombi’, il Fentanyl e simili. Esse ci avvertono che una frangia considerevole di ragazzi è alla resa della disperazione. Mentre, altri mostri fanno capolino da dietro le colline, come le terrificanti ultime tipologie virali di provenienza animale (la malattia X).

Ma, soprattutto, ci sono due guerre che non trovano soluzione e si aggravano di giorno in giorno. E questo, in buona parte, perché chi, al presente, ha la responsabilità di decidere, non intende ascoltare la voce della saggezza sostanziale. In particolare, quella di chi afferma che ‘il più forte’, in questo momento, non è chi continua ad aspirare alla vittoria militare, costi quel che costi, ma chi ha il buon senso di scegliere la strada del male minore: la trattativa. Consapevole che è preferibile farla prima, anziché dopo, sopra mucchi di macerie. E mi riferisco al Papa.

L’impressione è che, in questo momento, per quanto riguarda il futuro, il popolo che ‘vede nero’ sia sempre più numeroso di quello che ‘vede bianco’. Per una sorta di alterazione del gioco delle parti, i rassegnati alla guerra, sembrano predominare. Tuttavia, diciamolo. In un momento così problematico, occorrono più che mai dialogo e razionalità. Abbiamo bisogno di un’ancora della speranza radicata nei fondali della mente. Il che non è utopia ingenua ma può rivelarsi pedagogia creativa, motivante.

Infatti, delle tre dimensioni classiche, alla nostra civiltà non manca la dimensione della “larghezza” (l’espansione della conoscenza); non manca la dimensione dell’”altezza” (la tensione a progredire); manca, piuttosto, la dimensione della “profondità”: l’ancoramento a certezze fondamentali ed assolute. L’uomo antico possedeva scarsa conoscenza scientifica (larghezza); era poco progredito (altezza). Ma aveva certezze incrollabili. Era ancorato ai fondamenti (profondità).

Oggi, più che mai, siamo chiamati a riattivare uno sguardo fiducioso che sa scorgere, anche negli avvenimenti negativi, le linee di qualcosa di più grande. Abbiamo bisogno dell’ancora della speranza conficcata nelle profondità di un progetto globale positivo, di un Assoluto. Di quell’ancora “sicura e salda che entra al di là del velo del santuario” (Lettera agli Ebrei, 6,19).

Diciamolo. Si creda o no in un Assoluto, conviene, per il benessere dei singoli e della società, sforzarsi di essere ottimisti, fiduciosi. Perché, solo l’ottimismo, – anche quando non nasce da persuasione ma è solo immaginario, strumentale – possiede quella valenza creativa e propulsiva, capace di rimodellare la mente ed i comportamenti. In conclusione, soltanto la fiducia nella bontà profonda dell’universo e nel finalismo positivo degli eventi può salvarci dalla disperazione.

Di una cosa, però, siamo certi. Le idee positive hanno il potere di creare ottimismo, mentre quelle negative di generare pessimismo. L’idea, infatti, possiede, per se stessa, un potere creativo. Perché, un pensiero produce sempre un mutamento nell’anima. Per questo, Platone sostiene che non c’è nulla di più reale dell’idea.

Luciano Verdone

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