Il dimensionamento scolastico che avrebbe dovuto unificare le risorse numeriche ed i benefici di personale, di strutture e di servizi, in Sicilia mantiene uno stato di effettivo e ampio spread specie nei confronti delle 130 scuole rimaste ancora sotto la soglia dei numeri nazionali e quindi destinati ad una prolungata agonia di sofferente e improduttiva reggenza.
Aumenta ancora la spread tra le scuole che accolgono e fanno fruttificare i benefici e le risorse dei fondi europei tramite i PON, i POR , gli FSE e i FESR e le scuole che stanno a guardare , dove è alto il numero dei docenti che non intendono scommettersi e cooperare per investire tempo e risorse aggiuntive per costruire una scuola migliore e più attrezzata.
Aumenta la spread tra le scuole che tendono ad un efficace miglioramento dei processi interni ed i collegi docenti che decidono di non adottare le prove invalsi per non vincere la fatica di correggere e registrare le risposte degli alunni della propria classe.
Secondo l’art.51 del decreto delle semplificazioni la somministrazione delle prove, viene considerata “attività ordinaria” ed ecco si trova il cavillo che l’ordinario della scuola non è la lezione di tutti i giorni, bensì la gita o il corso di recupero e quindi la proposta viene indirizzata nel tunnel della decisionalità dei singoli collegi docenti, dove la tendenza che prevale è quella del quieto vivere e di ridurre al minimo gli impegni aggiuntivi.
Mentre ci si lamenta del lavoro che manca e dei precari che bussano alla porta della scuola,prima sempre spalancata con ingressi liberi da porte e “finestre”, oggi si registra sempre più la stanchezza di quanti si sentono costretti a restare in servizio in attesa del compimento degli anni contributivi di servizio o il raggiungimento dell’età pensionabile.
La scuola non è una fabbrica ed il lavoro didattico non si misura a punti, bensì a disponibilità personale e attenzione pedagogica, che man mano si affievolisce quando vengono meno le motivazioni forti che fanno superare le mille difficoltà e gli imprevisti del quotidiano scolastico.
Aumenta quindi lo spread tra le scuole dove la prevalenza è personale docente giovane e motivato e le scuole dei centri storici, dove gli arrivati sono già da tempo “seduti” e stabili in un quieto vivere ed in un conformismo di genere. A lungo andare anche gli esiti finali saranno diversificati.
Ricucire e diminuire lo spread tra i titoli tricolori e i bund tedesco è la tensione primaria del presidente del Consiglio, ma il suo esempio di risanamento e di contenimento, ancorché caratterizzato da tagli e riduzioni dovrebbe coinvolgere tutti gli operatori scolastici nel rendere fruttuoso , efficace ed efficiente il lavoro scolastico.
Se i risultati conseguiti restano ancora sotto la soglia della media nazionale vuol dire che c’è ancora tanto da fare e sono ancora molti i passaggi da migliorare. Non si può, quindi, utilizzare l’arma della collegialità per ridurre la produttività scolastica a danno dell’intera collettività.
Per accorciare le distanze e il divario, per contenere nei limiti ragionevoli lo spread occorre intervenire su entrambi i poli , da un’estremità all’altra e quindi camminare andando incontro all’altro e non restare nella postazione della infruttuosa opposizione.
Anche se ad alcuni la metafora è poco gradita, l’espressione “nella scuola occorre sentirsi azionisti dell’impresa cooperativa dell’educazione” ha la sua pregnanza valoriale ed i profitti, che i docenti “azionisti” ne potranno avere, ricadono a beneficio dei propri alunni, i quali crescono con gli occhi aperti e protesi al futuro e divenuti cittadini eccellenti potranno costruire una società migliore.
Sentendosi “azionisti” cresce inoltre l’autostima e la motivazione a cooperare per il lento e graduale processo di miglioramento, che investe tutti i settori della vita sociale e in particolare la scuola , luogo privilegiato di educazione e di formazione in un contesto sociale che registra una reale emergenza educativa e crisi dei valori della famiglia e del senso dello Stato.