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Aumenti contrattuali, occorre superare il D.L.vo 29/93

Aumenti contrattuali, esiste un “vizietto” che si ripete in prossimità del rinnovo. Diversi sindacati o altri soggetti propongono cifre impossibili. Occorre tener presente il quadro normativo. Comunque modificabile.

Aumenti contrattuali? Non è possibile

L’ultimo vero contratto economico per la scuola fu quello 1988-90. Gli operatori della scuola ricevettero un aumento del 23%. Dopo arrivò Tangentopoli, che creò le condizioni per la legge Finanziaria di G. Amato (Dicembre ’92) che doveva allontanare il rischio bancarotta per l’Italia. Ma quello che più conta è il 1993.

In quell’anno fu emanato il decreto 29/93 . Gli effetti furono immediatamente percepiti. Il rapporto di lavoro fu privatizzato; furono introdotti nel pubblico impiego alcuni criteri, presi dal contesto privato: efficacia, efficienza, economicità; gli scatti biennali furono sostituiti  da quelli settennali; fu introdotto il criterio della “moderazione salariale” e soprattutto  gli aumenti contrattuali furono vincolati al tasso di inflazione programmata e non più a quella reale.

Proposte incompatibili

Pertanto tutte le proposte economiche che non rispettano questi vincoli di bilancio, sono “fuori legge”. Lo scopo è solo propagandistico, di immagine, gettando fumo negli occhi.  Alla base, però c’è il Nulla.

Due proposte per gli aumenti significativi

Essendo in uno stato di diritto per conseguire l’obiettivo di un aumento significativo, l’unica strada è quella legislativa. In tal senso è da leggere la proposta di S. D’Errico,
“Per ottenere un contratto degno di questo nome – sostiene il segretario Unicobas – occorre un accordo specifico per la scuola e quindi svincolarsi dal pubblico impiego, anziché creare un compartone in ossequio alla Madia: il problema però nasce dal decreto legislativo 29 del 1993, che ha relegato all’angolo tutti quelli che ne fanno parte, Scuola compresa, eliminando per loro il ruolo a favore dell’incarico a tempo indeterminato, gli scatti d’anzianità biennali per lasciare spazio ai gradoni di 6-7 anni e dovendo pure dire addio agli aumenti superiori all’inflazione programmata”.
La seconda proposta è ancora più radicale. Superare il Decreto legislativo 29/93 nella parte  del vincolo al tasso di inflazione programmata. Più radicalmente abolirlo “in toto”.

Promemoria per il nuovo Governo e Parlamento

Non ci sono altre possibilità. E l’invito che rivolgo al nuovo Parlamento e Governo, quando saranno insediati e le chiacchiere elettorali saranno azzerate dagli atti concreti che non possono prescindere da una volontà politica e soprattutto da decisioni legislative.

Gianfranco Scialpi

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