Gli aumenti retributivi nel prossimo rinnovo contrattuale interesseranno solo i lavoratori a basso reddito: un terzo dei dipendenti pubblici, circa 800 mila, quelli sotto i 26 mila euro lordi annui.
È la linea decisa dalla ministra della Pubblica amministrazione, Marianna Madia arriverà subito dopo il via libera da parte del Consiglio dei ministri con cui si riduce da undici a quattro i comparti contrattuali nel pubblico impiego.
Che si tratti di un cambiamento importante non c’è dubbio, mentre sono stati stanziati solo 300 milioni per gli aumenti salariali. Una cifra che se spalmata sull’intera platea dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici garantirebbe un aumento non superiore ai dieci euro a testa.
Sull’orientamento della Madia, scrive Il Sole 24 Ore, pesano anche altri fattori. Intanto non c’è più l’inflazione. La dinamica dei prezzi tende alla deflazione (ad aprile – 0,3 per cento) “e dunque non c’è più – sostengono al ministero – la necessità di proteggere il potere d’acquisto”.
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Tuttavia questa proposta della Madia rischia di provocare uno scontro con i sindacati che bocciano l’idea di aumenti solo per i redditi più bassi e richiamano la sentenza della Consulta che ha costretto il governo a rifinanziare i rinnovi contrattuali.
Va al suo primo test anche l’intesa, raggiunta un paio di mesi fa, sui comparti, che si riducono da undici a quattro: funzioni centrali (ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici, con circa 247 mila lavoratori); funzioni locali (Regioni e autonomie locali, con circa 457 mila lavoratori); istruzione e ricerca (scuola, università, enti di ricerca, con 1,1 milioni di lavoratori); sanità (con circa 531 mila lavoratori). L’accorpamento delle aree contrattuali imporrà aggregazioni anche tra i sindacati, i più piccoli dei quali, rappresentativi nei micro comparti precedenti, rischiano, in un comparto più grande.
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